L’attacco realizzato a Vienna segna un ulteriore avanzamento nella recente escalation di violenza terroristica in occidente. Le sparatorie nel centro della capitale austriaca, avvenute appena prima dell’inizio di un lockdown nazionale, hanno rappresentato uno dei giorni più tragici della storia recente dell’Austria. A ben vedere, esse mettono in rilevanza elementi di continuità, ma anche di discontinuità rispetto al recente passato.

Da un lato, gli attacchi confermano una tendenza ben visibile in Europa negli ultimi mesi, specialmente dopo l’estate. In poco più di un mese sono stati registrati altri tre attacchi terroristici gravi: il ferimento di alcuni giornalisti di fronte alla vecchia sede di Charlie Hebdo il 25 settembre, la decapitazione dell’insegnante Samuel Paty vicino a Parigi il 16 ottobre e, da ultimo, l’attacco nella cattedrale di Nizza il 29 ottobre.

A questi attacchi terroristici occorrerebbe forse aggiungere altri atti di violenza, meno noti, per i quali gli inquirenti stanno seguendo la pista jihadista: due accoltellamenti in Germania e uno in Svizzera nei mesi di settembre e ottobre. Nel complesso, gli attacchi degli ultimi mesi, dalla Francia all’Austria passando per Svizzera e Germania, sembrano quasi disegnare un arco che lambisce il nostro paese. A questo riguardo è importante ribadire che in Italia la portata della minaccia jihadista è apparsa finora meno elevata rispetto a molti altri paesi del continente anche per merito di un efficace sistema di antiterrorismo, ma il rischio non è pari a zero.

L’attentatore di Vienna

L’attentatore ucciso dalla polizia, con doppio passaporto dell’Austria e della Macedonia del nord, era, come in altri casi, già noto alle autorità antiterrorismo ed era persino già stato condannato alla reclusione in carcere, nel 2019, proprio per aver tentato di unirsi al cosiddetto Stato islamico all’estero; era stato rilasciato dopo pochi mesi, prima del termine originariamente previsto.

Questi dettagli, al momento ancora frammentari, attirano di nuovo l’attenzione sui complessi dilemmi relativi agli sforzi per monitorare e contrastare, secondo le regole di uno stato di diritto, individui radicalizzati che possano passare all’azione improvvisamente e senza alcun preavviso. Particolare interesse meritano quegli individui che, come l’attentatore di Vienna, sono stati fermati prima che potessero partire per unirsi a gruppi armati jihadisti all’estero. Dalla proclamazione del sedicente “califfato” nel 2014 questi foreign fighters mancati hanno pianificato almeno 25 attacchi terroristici in Europa e ne hanno portati a termine almeno nove.

Ancora più interessanti appaiono gli elementi di discontinuità rispetto agli ultimi attacchi. L’attenzione, innanzitutto, nelle ultime settimane era concentrata sulla Francia, il paese più interessato dal fenomeno in occidente, tanto più nel clima assai teso legato alle dispute sulla ripubblicazione delle controverse caricature contro il profeta dell’islam.

Al contrario l’Austria non è tradizionalmente considerata una nazione particolarmente esposta alla minaccia internazionale del terrorismo jihadista. Come ha enfatizzato il cancelliere federale, Sebastian Kurz, gli austriaci vivono in un paese generale generalmente sicuro, ma non vivono in un mondo sicuro.

Tra i paesi di lingua tedesca ben più seria è la situazione in Germania. Per esempio, dall’avvio di questa ondata di terrorismo jihadista, con la proclamazione del “califfato” il 29 giugno 2014, in Austria, secondo dati dell’autore, si era registrato soltanto un attacco riconducibile alla causa jihadista, nel lontano 2017. Per avere un confronto, basti pensare che nello stesso periodo in Francia sono stati portati a termine oltre 35 attacchi, costati la vita a oltre 250 persone, e nella vicina Germania più di dieci attacchi, con almeno 13 vittime.

Sotto questo profilo, l’attacco di Vienna infrange, di fatto, la prospettiva di un’Austria (relativamente) felix. Non erano mancati tuttavia piani terroristici sventati dalle autorità austriache: in particolare, si può ricordare che nel dicembre 2019 era stata smantellata una cellula di jihadisti ceceni, ispirati a distanza dalla causa del cosiddetto Stato islamico, che stava prendendo in considerazione alcuni luoghi in cui poter eseguire attacchi terroristici, tra i quali i mercatini di Natale di fronte alla cattedrale di santo Stefano, nel cuore di Vienna.

Non solo la punta dell’iceberg

Se dalla punta dell’iceberg del vero e proprio terrorismo si passa a osservare la parte sommersa, corrispondente ai percorsi di radicalizzazione, il panorama appare meno rassicurante anche in Austria. La scena jihadista del paese, infatti, è di dimensioni non trascurabili. Il contingente nazionale di foreign fighters rappresenta un utile indicatore per operare alcuni confronti: dalla piccola Austria, sono partiti oltre 300 combattenti (spesso di origine balcanica), in confronto ai quasi 2.000 della Francia e ai poco più di 140 dell’Italia.

Se si facesse la semplice operazione di mettere in relazione questi numeri alla popolazione generale dei relativi paesi, si scoprirebbe che l’Austria si colloca in realtà nella stessa fascia della Francia (circa 30 foreign fighters per milione di abitante), a grande distante dall’Italia (poco più di 2 per milione). Da notare anche che negli ultimi anni il cancelliere austriaco aveva manifestato posizioni nette contro l’Islam politico, simili a quelle espresse di recente dal presidente francese, Emmanuel Macron.

Un altro elemento di discontinuità rispetto al recente passato riguarda la modalità degli attacchi. Gli ultimi atti terroristici in occidente erano stati tipicamente preparati e portati a termine da singoli individui, privi di particolari abilità operative, dotati di armi rudimentali, come coltelli o automobili, e sulla base di piani piuttosto elementari.

Al contrario, secondo le informazioni attualmente disponibili, le sparatorie avvenute in più luoghi di Vienna sono state realizzate da almeno un attentatore preparato sotto il profilo operativo e munito di potenti armi da fuoco, come un fucile d’assalto. Non siamo ancora alla complessità e sofisticatezza dell’azione che condusse alla strage nel Bataclan e in altri luoghi di Parigi il 13 novembre 2015, pianificata nel dettaglio direttamente dallo Stato islamico in Siria e portata a termine da una squadra di esperti militanti dell’organizzazione. Tuttavia, la differenza rispetto ai semplici accoltellamenti delle ultime settimane è piuttosto evidente.

Attacchi in aumento

In generale, è opportuno notare che il numero degli attacchi terroristici in occidente sta registrando una notevole crescita nel corso del 2020 (quasi 20 finora), dopo una notevole flessione nel 2018 e nel 2019.

Evidentemente, sul piano pratico, il Covid-19 e le misure di confinamento e le altre restrizioni adottate in molti paesi occidentali per contenere la pandemia non hanno fermato l’azione dei terroristi. Per alcuni aspetti, essi sembrano perfino riuscire a trarre beneficio dall’emergenza: l’attacco di Vienna ha avuto luogo proprio in un momento in cui le vie del centro della città erano piene di persone, intenzionate a godersi l’ultima serata all’aperto prima dell’inizio del coprifuoco nazionale.

Sul piano simbolico, infine, i terroristi, con le loro gesta eclatanti, appaiono comunque in grado di fare in modo che la loro missione estremistica non sia completamente oscurata dalla pandemia globale.

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