L’ingresso di Chiara Ferragni nel consiglio di amministrazione di Tod’s dei Della Valle, e la salita di Lvmh, gigante francese del lusso, al 10 per cento del capitale, hanno fatto schizzare al rialzo il titolo in Borsa. Di per sé, un’ordinaria storia di mercato. Ma ho trovato la vicenda emblematica tanto della forza quanto delle debolezze dell’imprenditoria italiana: caratteri che hanno inciso sull’evoluzione economica del nostro paese e contribuiranno anche a definirne la crescita futura, che non dipende solo da Stato, Bruxelles e Prrn.

Tod’s è uno degli esempi della grande capacità dell’imprenditoria italiana di ideare prodotti innovativi, caratterizzati da una elevata qualità e da un marchio distintivo; di creare nuove realtà aziendali, capaci di competere nel mondo; di cogliere opportunità di crescita anche in settori maturi; e di restare dinamica nonostante una pubblica amministrazione asfissiante e un sistema fiscale penalizzante.

È la storia di un calzaturificio artigiano di provincia, che Diego Della Valle a inizio anni ’80 trasforma in una multinazionale del lusso, creando un marchio affermato, con prodotti innovativi in un settore competitivo; con la quotazione in Borsa dal 2000; e il fatturato che cresce stabilmente fino al picco di 1,1 miliardi nel 2015.

Questione di taglia

Il dinamismo imprenditoriale italiano non è venuto meno neanche nell’ultimo decennio, con un Pil a crescita zero: nell’annuale indagine del Financial Times sulle 1000 nuove aziende con il maggior tasso di crescita in Europa (quest’anno copre il periodo 2016-2019), l’Italia si è piazzata al primo posto con ben 269 società, seguiti dalla Germania con 204 (la Francia ne ha meno della metà).

Ma le debolezze sono tali e tante da neutralizzare questa forza. La principale è l’incapacità di portare le aziende a una dimensione commisurata a quella del mercato globale dei beni e dei capitali.

La dimensione è oggi cruciale: non basta avere i prodotti migliori, bisogna poi fare grandi investimenti per farli conoscere nel mondo e raggiungere ovunque i consumatori, oltre che investire nella logistica e nella tecnologia per la gestione delle catene di produzione, anche queste globali.

La dimensione è anche essenziale perché facilita l’accesso al mercato dei capitali e permette di diversificare su più prodotti e marchi il rischio di impresa. E con la globalizzazione spariscono le nicchie protette dalla concorrenza.

Debolezze che spiegano anche il declino di Tod’s. Nonostante i successi iniziali e lo sbarco in Borsa è rimasta un’azienda di medie dimensioni a controllo familiare, coi rischi che questo comporta.

Così dal 2015 i ricavi hanno cominciare a declinare stabilmente e anche nel 2022 gli analisti stimano che saranno inferiori del 10 per cento rispetto al 2019. Così in Borsa la società vale 1,3 miliardi rispetto a 315 del suo socio Lvmh (e ai 111 di Dior, 112 di Hermes, 86 di Kering, i 50 di Richemont, gli altri big del settore): 1,8 volte i ricavi attesi, rispetto al 5,3 di Lvmh, indice delle aspettative di bassa crescita e redditività.

Salvare Tod’s da Della Valle

Foto Daniele Leone / LaPresse 29-07-2014 Roma, Italia cronaca Diego Della Valle visita il Colosseo, patron della Tod’s, sponsor del restauro. Nella foto: Diego Della Valle Photo Daniele Leone / LaPresse 29-07-2014 Rome, Italy news Diego Della Valle visit the Colosseum In the pic: Diego Della Valle

Perché allora la Borsa festeggia se il titolo è ancora al di sotto del prezzo di quotazione iniziale di 20 anni fa? Evidentemente, qualcuno si aspetta che con Lvmh prima o poi i Della Valle possano ritirare Tod’s dal mercato (appena 25 per cento il flottante), per poi inglobarla nel gruppo francese e uscire dall’azionariato a un valore più alto di quello riconosciuto dal mercato.

Non sarebbe la prima volta che creiamo un marchio di successo per poi cederlo allo straniero di turno: Fendi, Loro Piana, Bulgari, assorbite da Lvmh; o Brioni, Pomellato, Bottega Veneta e Gucci finite in Kering; Yoox, Panerai, Buccellati assorbite da Richemont; Versace in Capri Holding (straniera, nonostante il nome); o Valentino andata ai qatariori di Mayhoola.

Cosa serve per crescere

Nelle fasi iniziali di crescita di un’azienda l’imprenditore, che è l’ideatore del prodotto, è anche il manager che gestisce e il socio di riferimento. È sempre così, ovunque. Ma per crescere oltre una certa dimensione l’imprenditore-fondatore deve necessariamente fare un passo indietro, affidare la gestione a una squadra di manager, e diluire la propria quota al di sotto del controllo per poter raccogliere i capitali sul mercato.

Invece, a 20 anni dalla quotazione, e dopo la cessione del 10 per cento a Lvmh, i Della Valle mantengono ancora il 64 per cento di Tod’s. Lo stesso vale per gli altri campioni del lusso quotati: i Prada hanno l’80 per cento della società col loro nome, Brunello Cucinelli il 53, Ferragamo il 61, e sarebbe lo stesso con Armani o Diesel se aprissero il capitale; unica eccezione Moncler, controllata dal fondatore Ruffini col 20 per cento. Tutte però sono ancora mono-marchio, legate al fondatore, e anche le più grandi sono sottodimensionate (Prada, Moncler, e Armani se si quotasse, valgono circa 13 miliardi) per poter fare da aggregatori e competere con le varie Lvmh e Kering, ammesso che superino il tabu della perdita del controllo. Naturalmente lo status quo può andare bene per tantissimi anni ancora, ma prima o poi può arrivare una crisi e allora si deve vendere al concorrente più forte.  

La Borsa per fare cassa

Alle imprese italiane la Borsa, più che a crescere con acquisizioni, serve prevalentemente per far cassa quando il mercato eccede in ottimismo, per poi ritirare la società e valorizzarla con una transazione privata. Anche in questo Tod’s è emblematica: i Della Valle la quotano nel 2000 in piena bolla internet, per poi aspettare 20 anni per una transazione fuori mercato con Lvmh, che fa sorgere il sospetto di un futuro delisting.

Ma non c’è solo la moda dei grandi stilisti. Negli anni ’70 i Benetton furono precursori della moda low cost e di una distribuzione innovativa. Anche quella fu una storia di imprenditoria familiare di grande successo, con un marchio diventato famoso nel mondo, e lo sbarco in Borsa negli anni ’80. Poi il declino e il delisting nel 2012: oggi fattura circa 900 milioni e ne perde 140. Significativo che negli stessi anni in Spagna nasce Inditex (Zara) che però oggi vale 96 miliardi e compete con la svedese H&M (34 miliardi), o la tedesca Zalando, fondata nel 2008 ma che ne capitalizza già 23; e negli Usa nasce Nike, che con la tedesca Adidas, crescono trasformando in moda l’abbigliamento sportivo (valgono 74 e 52 miliardi).

Debolezze che riguardano non solo il settore della moda, ma l’economia del paese. Grandi gruppi privati significano più occupazione qualificata e investimenti, crescita della classe manageriale, sviluppo del mercato dei capitali e maggiore propensione del risparmio a investire nel capitale di rischio, elementi indispensabili allo sviluppo, che non può fare solo affidamento sulle grandi aziende a partecipazione pubblica, che orami monopolizzano la Borsa e operano prevalentemente in settori regolamentati, dai cash flow sicuri. E che presto saranno i principali beneficiari (Ferrovie in primis) dei fondi Prrn: lo Stato con una mano da, e con l’altra riceve (dividendi).

© Riproduzione riservata