Il governo Meloni ancora non esiste ma già deve affrontare la sua prima crisi diplomatica: una piccola cosa, ma che rivela l’ipersensibilità della destra vincente ai problemi di reputazione internazionale. Tutto parte dall’intervista della neoministra francese per gli Affari europei, Laurence Boone, a Repubblica.

L’economista con un passato all’Ocse dice che la Francia giudicherà il nuovo governo “dai fatti”, che l’importante è la fermezza di fronte alla Russia, ma anche che «da parte della Francia ci sarà anche fermezza e vigilanza».

I patrioti italici non la prendono bene, interviene direttamente lei, la premier in pectore, Giorgia Meloni che da Facebook ordina la smentita, o a Repubblica («la stampa di sinistra» che «travisa») oppure direttamente al governo francese, visto che le parole della ministra Boone rappresentano una “inaccettabile ingerenza”.

La smentita arriva da Parigi, segno che la questione è seria, fonti diplomatiche fanno sapere alle agenzie che Boone «non intendeva dare lezioni a nessuno», che con il nuovo esecutivo ci sarà dialogo e così via. E fin qui sembra una polemichetta di giornata senza conseguenze, ma poi succede una cosa inattesa: tra un incontro e l’altro con cercatori di tartufo ad Alba, in Piemonte, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella risponde a una domanda sull’argomento e afferma che «L’Italia sa badare a se stessa nel rispetto della sua Costituzione e dei valori dell’Unione europea».

Una frase sola per sistemare i due fronti della questione: alla Francia dice che deve rispettare la sovranità degli elettori italiani, a Giorgia Meloni che può fare ciò che vuole soltanto nel perimetro condiviso dei principi costituzionali ed europei.

Visto che ormai l’affare è salito di livello, si esprime anche l’altro capo di stato coinvolto, cioè Emmanuel Macron, che dal vertice europeo di Praga sottolinea “l’amicizia e la fiducia verso Mattarella” e il rispetto per l’autonomia italiana: «Non è il presidente francese che decide il primo ministro italiano ma il voto del popolo italiano e, secondo le vostre leggi, la designazione è da parte del presidente della Repubblica».

Un’ovvietà che però può anche essere letta come un monito: la Francia diffida di Meloni ma se Mattarella si prende la responsabilità di dire che va tutto bene, allora avanti come prima.

Queste reazioni potrebbero sembrare sproporzionate a una semplice intervista di un ministro di scarso peso nell’esecutivo di Élisabeth Borne. Il punto è che in questo momento ogni crepa nell’asse tra Italia e Francia rischia di essere molto pericolosa.

Costretti a lavorare insieme 

Macron e Meloni non potrebbero essere più diversi, ma sono tutto ciò che rimane a un’Unione europea che si confronta con l’eterno problema di una Germania troppo grande e troppo solitaria per essere imbrigliata dalle regole: dalla crisi dello spread del 2011 al Covid ai 200 miliardi di debito extra per ridurre le bollette, quando Berlino deve scegliere tra interesse nazionale ed europeo non ha dubbi e non bada alle conseguenze.

Con la fragile leadership del cancelliere Olaf Scholz e il fronte dell’est ostile alla Commissione rafforzato dalla guerra in Ucraina (la Polonia sovranista e populista ha ora il pieno sostegno degli Stati Uniti), sono saltati tutti gli equilibri: la governance condivisa tra Parigi e Berlino che ha retto l’Europa nell’ultimo decennio non è sopravvissuta alla fine dell’esperienza di Angela Merkel.

Mario Draghi a palazzo Chigi ha saputo, con la sua reputazione europea da ex presidente Bce, tenere insieme i vari frammenti almeno per un po’, ma ora sta esplodendo tutto.

La campagna elettorale italiana, poi, ha spinto inevitabilmente Meloni verso Macron: non soltanto perché Enrico Letta è andato in pellegrinaggio in cerca di appoggi da Scholz a Berlino, ma anche perché Meloni aveva bisogno di un nemico da opporre a chi le contestava i legami con l’Ungheria di Viktor Orbàn e ha scelto la Germania.

Quindi Meloni e Macron sono destinati a collaborare, senza renderlo troppo esplicito ai rispettivi elettorati: per i francesi Meloni è la Marine Le Pen italiana, mentre nell’immaginario meloniano Macron incarna una versione più tecnocratica degli avversari centristi Matteo Renzi e Carlo Calenda.

L’incidente dell’intervista a Laurence Boone rivela quanto fragile ma anche cruciale è questo rapporto tra il presidente francese sempre più solo e la futura premier italiana che ha un assoluto bisogno di legittimazione esterna per consolidare quella interna.

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