La presidente Christine Lagarde ha annunciato che la Bce «mantiene la rotta»: alza i tassi di un altro mezzo punto e si propone di rifarlo in marzo. Meno di ventiquattr’ore prima Jerome Powell, presidente della Fed, aveva rallentato l’aumento dei suoi tassi, limitandolo a un quarto di punto, con la possibilità di due aumenti analoghi fino a maggio.

Per fermare l’inflazione, la Bce ha alzato finora i tassi a una velocità media mensile appena più alta della Fed, ma ha cominciato quattro mesi e mezzo dopo.

Sicché i suoi tassi sono ancora due punti più bassi, mentre l’inflazione è un paio di punti sopra quella Usa. Il Pil ha rallentato, sia in Usa che nell’eurozona, ma va meglio di quanto si temesse.

Che cosa succederà? Nella conferenza stampa di Powell la discussione sul futuro è stata più chiara. Nello scenario che la Fed sembra ritenere più probabile, l’inflazione scende ancora, ma più piano di quanto ha fatto finora, mentre la crescita del Pil prosegue piuttosto bassa, circa l’1 per cento annuo.

I tassi verranno allora aumentati ancora di 0,25 per cento per due o tre volte e resteranno poi alti almeno fino a fine anno.

Lo scenario per il quale paiono invece propendere i mercati, vede un’inflazione che scende svelto ma con l’economia che  rallenta molto e rischia la recessione: allora i tassi salirebbero solo una volta, per poi tornare a scendere entro l’anno.

La possibilità di una netta stagflazione, con inflazione resistente e crescita zero, è invece improbabile in Usa, perché i blocchi all’offerta aggregata che la procurerebbero sembrano indeboliti, come ha detto anche Powell.

Nell’eurozona l’articolazione degli scenari è minore perché il problema della forte inflazione rimarrà più a lungo dominante.

Oltre ad alzare i tassi, la “normalizzazione” monetaria prevede che diminuiscano i titoli, soprattutto pubblici, in bilancio a entrambe le banche centrali, accumulati in tanti anni di quantitative easing.

Anche in questo la Fed è più avanti della Bce che per ora si limita a rinnovarli in parte quando scadono: solo a luglio sapremo le sue ulteriori intenzioni.

A fronte dei titoli acquistati si è accumulata un’enorme liquidità che si ritrova nei depositi delle banche con la Bce. I quali hanno superato i 4000 miliardi e il 30 per cento del Pil dell’eurozona, più che decuplicati dal 2014: questi depositi sono remunerati a tassi che crescono con la stretta monetaria e ora sono il 2,5 per cento. 

Fino a che la liquidità rimarrà così abbondante, l’aumento dei tassi a breve non va oltre quella remunerazione e appare un po’ contronatura.

Per ridurre la liquidità occorre che il Qe venga disfatto più svelto, parallelamente al rialzo dei tassi, anche per limitare la perdita che la Bce subirà vendendoli.    

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