Far buon viso a cattivo gioco è uno dei tanti imperativi non scritti della politica. Non c’è quindi da stupirsi se Matteo Salvini ha definito pubblicamente «un gran bel giorno» quello che è coinciso con la caduta di Conte e il simultaneo preannuncio dell’incarico a Draghi.

È stato un modo per cercare di arruolarsi nella schiera dei soddisfatti dell’esito di una crisi sul cui svolgimento il centrodestra non ha esercitato alcuna influenza – perdendo semmai pezzi marginali nella vicenda della caccia ai “costruttori” – e conquistare ulteriore visibilità mediatica, la merce più pregiata per la classe politica attuale. Dietro l’apparente soddisfazione del leader leghista si profilano però, per lui, sostanziosi motivi di preoccupazione.

Non si tratta solo di dover decidere se concedere o no il sostegno dei propri parlamentari all’esecutivo che sarà varato dall’ex presidente della Bce.

Su questo versante, l’ipotesi subito affacciata da vari commentatori – aspettare l’annuncio del programma e dichiararsi disposti ad approvare taluni provvedimenti e a ricusarne altri, salvo rifugiarsi spesso nell’astensione – potrebbe consentire di prendere tempo in attesa delle prossime pieghe degli eventi, emergenza pandemica in primis. I problemi più pesanti, Salvini se li troverà in casa: nella coalizione ma anche, e soprattutto, dentro il suo partito.

L’entusiasmo di Forza Italia e centristi per la soluzione tecnica non farà altro che svelare la fragilità di un’alleanza che ha da sempre nelle divergenze di fondo tra “sovranisti” e “moderati” il suo piede d’argilla. La formula gialloverde aveva del resto già suddiviso l’insieme in tre tronconi senza irreversibili conseguenze.

I problemi interni

I guai più grossi Salvini li ha invece con la Lega, cioè con le sue componenti. Dopo essersi forgiato nell’arco dei sette anni di segreteria un’immagine di capo indiscusso e plebiscitato, ed averla sfruttata per rafforzare notevolmente la fisionomia populista che già Umberto Bossi aveva cucito addosso alla sua creatura – e  Roberto Maroni aveva invano tentato di sradicare –, entrando in diretta concorrenza con il M5S grillino delle origini, il Capitano si è trovato di fronte ad un ostacolo di cui forse non aveva calcolato l’insidiosità: la resistenza alla sua linea di una parte consistente della nomenklatura leghista. Che ha digerito a fatica i successi dell’impostazione vigorosamente anti-establishment degli anni recenti, ha palesemente cercato di impedirne il consolidamento (si pensi alle continue esternazioni di Giancarlo Giorgetti contro la prosecuzione dell’esperienza del Conte I) e adesso è pronta a sfruttare gli eventi per imporre al partito una retromarcia, facendone una sorta di surrogato della Forza Italia degli anni d’oro.

L’insuccesso dei tentativi di conquista di Emilia-Romagna e Toscana ha rafforzato questa fronda e costretto Salvini ad indossare panni che, come la giacca-e-cravatta al posto delle celebri felpe, poco gli si addicono: promesse di rivoluzione liberale, proclami atlantisti, ammiccamenti ad ambienti economici di spicco che un tempo erano oggetto dei suoi strali, aperture al Ppe.

Tutte mosse che hanno lasciato a Giorgia Meloni il ruolo di unica rappresentante, nella coalizione, di quello spirito ribellistico e di protesta sociale che aveva fatto le fortune leghiste alle europee del 2019.

Il dilemma

Nel giro di poco tempo, Salvini dovrà decidere se cedere all’ala governista e convertirsi ad una “ragionevolezza” destinata a dispiacere a larga parte dell’attuale elettorato leghista, i cui favori potrebbero trasferirsi su Fratelli d’Italia, lasciando al contempo ai Cinque Stelle campo libero nel ritorno alla polemica contro i poteri forti e le oligarchie, oppure tener duro e scommettere sui dividendi che un’opposizione a Draghi potrebbe fruttare quando le ferite economico-sociali della pandemia esploderanno in tutta la loro forza.

I primi segnali fanno supporre che sia avviato sulla prima strada. Quel che è certo è che il bivio di fronte al quale si trova gli imporrà, dopo i molti tentennamenti degli ultimi mesi, una scelta netta e rischiosa.

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