Dopo il Covid, la guerra in Ucraina. Si può ragionevolmente temere che due crisi così pesanti, una di seguito all’altra, potrebbero sfiancare le economie dei paesi europei, accrescere le disuguaglianze, lasciare un debito pubblico e un disastro ambientale ancora più pesanti sulle spalle delle prossime generazioni.

È anche vero però che l’Europa non avrebbe affrontato con tanta coesione e determinazione la seconda crisi senza la prima. Non per effetto della nota tesi funzionalista di Jean Monnet (l’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi). Non tutte le crisi, infatti, sono state superate accrescendo la coesione tra i partner, il sostegno dell’opinione pubblica e la spinta a procedere verso un’unione più forte. E non solo perché le istituzioni europee hanno messo in atto uno straordinario esercizio, che pure certamente ha contato.

Il momento sbagliato

È ragionevole immaginare che due anni di intenso e protratto rodaggio della attività di concertazione tra Commissione, parlamento e Consiglio a Bruxelles, tra la Commissione von der Leyen e i governi nazionali abbiano reso molto più rapido il coordinamento e l’intesa di fronte all’invasione russa. La risposta molto diversa data dall’Europa oggi rispetto a quella data alle altre aggressioni di Putin contro la Gorgia (2008) e l’Ucraina (2014) sono anche un riflesso del diverso clima creato nell’opinione pubblica dalla crisi da Covid-19 rispetto alla grande recessione.

Allora la politica di austerità aveva creato divisioni, diffidenze, e terreno fertile per una terribile ondata di campagne infamanti, imbottite di fake news e verità alternative, sicuramente aiutate dai troll russi, verso le istituzioni politiche nazionali e l’Unione europea. Campagne che favorirono la Brexit, l’elezione di Trump, così come il successo in Italia dei Cinque stelle prima maniera e della Lega nazionalista.

Pandemia e coordinamento

Vladimir Putin ha forse pensato che nell’anno di grazia 2022 fosse arrivato il momento di radere al suolo e conquistare l’Ucraina (come aveva fatto con la Cecenia nel 2004) assumendo di trovarsi di fronte a Stati Uniti in disarmo (dopo la ritirata dall’Afganistan), un’Europa indebolita dalla Brexit, una von der Leyen dimezzata dopo l’uscita di scena di Angela Merkel e il crollo della Cdu in Germania. Invece ha scelto proprio il momento sbagliato.

Non solo perché la pandemia ha potenziato la capacità di coordinamento delle istituzioni europee, ma perché ha anche rafforzato la fiducia nei loro confronti da parte dell’opinione pubblica. Almeno a giudicare dagli indicatori che abbiamo rilevato in una indagine su sei paesi (Germania, Francia, Italia, Polonia, Spagna, Svezia) condotta dall’Istituto Cattaneo (www.cattaneo.org) per conto di Feps (Foundation for European Progressive Studies) e Fes (Friedrich-Ebert-Stiftung) tra il 2020 e il 2021.

La fiducia (generica) verso le istituzioni politiche nazionali era ed è rimasta bassa durante la pandemia. Ciononostante, abbiamo riscontrato una stabile prevalenza di giudizi positivi sulle azioni intraprese dai governi nazionali, oltre che dai governi regionali e dai sistemi sanitari, per proteggere la salute pubblica (con la sola eccezione della Polonia, un paese profondamente polarizzato sul piano politico interno ma con una opinione pubblica largamente favorevole all’Ue).

Tra gli intervistati spagnoli prevalevano i giudizi negativi sull’azione del governo nel 2020 ma c’è stata una inversione nel 2021. Nel 2021, quando il dilemma che i governi hanno dovuto affrontare era quello tra tutela della salute e libertà di movimento, le opinioni pubbliche si sono divise su cosa fosse giusto prediligere, ma la maggioranza ha ritenuto che i governi nazionali abbiano mantenuto un “giusto equilibrio” tra i due principi. Nel 2022, quando dubbi e divisioni hanno riguardato l’obbligatorietà delle vaccinazioni, solo una minoranza politicamente e psicologicamente ben connotata, si è collocata mentalmente in una opposizione “anti sistema”.

Avevamo incluso nella survey anche una batteria di domande per rilevare quanto gli intervistati considerassero altri paesi più “amici” o “nemici” del proprio, per capire quali effetti avrebbe prodotto la pandemia sulla coesione europea. In quasi tutti i casi (unica eccezione la Polonia), il modo in cui gli intervistati vedono gli altri paesi europei inclusi nello studio è migliorato dal 2020 al 2021; sono migliorate anche, un poco, le valutazioni sugli USA, con tutta probabilità per effetto del cambiamento di leadership alla Casa Bianca; in un solo anno è aumentata di 5-6 punti percentuali la quota di cittadini europei che vedono con sospetto Cina e Russia, considerate in prevalenza come nemiche del proprio paese. Possiamo attenderci che a fine 2022 questa tendenza non risulterà invertirà.

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