A fronte di cambiamenti tendenziali, spesso ci comportiamo come gli struzzi che nascondono la testa nella terra per non vedere e, recalcitranti, puntiamo a bloccare tutto o addirittura ad andare contro corrente.

Calo demografico, crisi ambientale, crescenti migrazioni sono tutti fenomeni che hanno prodotto nelle nostre società timori, reazioni e un generale appello a contrastarli, come se fosse possibile e auspicabile tornare indietro e come se questi fossero fenomeni indipendenti l’uno dall’altro, tali da poterli trattare separatamente.

In realtà essi sono intrinsecamente legati e sono il segno di un equilibrio che cambia continuamente e che dobbiamo imparare anche ad accettare: non viviamo su un pianeta fermo e immutabile, ma su un corpo celeste che cambia in continuazione, seppure in tempi che per noi sono lunghi.

E, pur se dobbiamo cercare di governare certi processi, dobbiamo anche attrezzarci per adeguarci ai cambiamenti che si prospettano: abbiamo bisogno di una cultura del cambiamento.

Vivere con meno bambini

Prendiamo il calo della natalità che sta caratterizzando l’Italia, ma anche gli altri paesi avanzati e, recentemente, un gigante demografico come la Cina, ciò che ha destato molte preoccupazioni e tutti (o quasi) si domandano come fare per arrestarlo.

Ma è questa la reazione che dobbiamo avere? Certo, abbiamo vissuto a lungo con l’idea che la popolazione debba sempre crescere e sicuramente un calo demografico genera problemi nelle nostre società per come sono organizzate.

Ma, la riduzione della popolazione nei nostri paesi è parte di un necessario processo di contenimento della crescita della popolazione mondiale.

Infatti, malgrado questa riduzione e malgrado un calo del tasso di natalità pressocché in tutti i paesi del mondo, la popolazione mondiale continua a crescere soprattutto perché si riduce notevolmente il tasso di mortalità, specie quello infantile e si allunga la vita media delle persone grazie ai progressi della scienza e alla diffusione dello sviluppo economico.

Secondo le recenti stime dell’Onu, la popolazione mondiale (oggi circa 8 miliardi di persone) supererà i 10 miliardi di persone nel corso di questo secolo e, poi, dovrebbe iniziare a calare.

Se ci opponessimo con successo (molto improbabile) al calo demografico nei nostri paesi e in Cina, la popolazione mondiale crescerebbe senza freni superando già nei prossimi anni i 10 miliardi di persone e continuerebbe ad aumentare senza limiti.

Forse la tecnologia ci darebbe le risorse per mantenere ben più di dieci miliardi di persone su questo pianeta, ma difficilmente riusciremmo a contrastare il degrado ambientale, che è certamente legato alla sovrappopolazione del pianeta (e alla legittima aspirazione di tutti i popoli di avere un livello di vita pari a quello dei paesi avanzati) e certamente avremmo maggiori tensioni per crescenti flussi migratori per la difficoltà di mantenere ferme popolazioni crescenti che cercano sbocchi di vita normali.

Meglio, allora, accettare il calo demografico nei paesi in cui è iniziato, pur se è sempre possibile mitigare eventuali discese troppo rapide con politiche di sostegno alle donne, e attuare politiche per superare le problematiche inerenti al calo delle nascite.

Ad esempio, per molti paesi si tratta di aumentare l’età della pensione e di favorire il lavoro delle donne per contenere gli effetti della riduzione delle forze di lavoro. Si tratta di ribilanciare il sistema della sicurezza sociale per tener conto dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta anche di accettare e governare i flussi migratori in entrata.

E con più migranti

Anche per i flussi migratori è importante adattarsi a ricevere nei paesi avanzati coloro che desiderano ricercare migliori condizioni di vita e non solo i rifugiati da guerre e persecuzioni. L’idea di “aiutarli a casa loro” per ridurre le migrazioni non funziona, pur se l’aiuto allo sviluppo dei paesi di emigrazione resta necessario e importante.

Spesso, è proprio lo sviluppo quello che genera fenomeni di migrazione, perché esso comporta una crescente urbanizzazione che a sua volta determina attrazione dalle campagne, maggiore istruzione e spostamenti all’interno del paese di persone che, avendo lasciato le proprie abitazioni e abitudini, sono più propense e disponibili a emigrare in altri paesi.

D’altro canto, l’ultima grande migrazione dall’Italia è avvenuta proprio negli anni di massimo sviluppo, quelli del “miracolo economico”, quando molti italiani hanno abbandonato le campagne, sono andati nelle città e da quelle città sono poi partiti verso altri paesi. Al contrario, siamo diventati un paese di immigrazione quando il nostro sviluppo è fortemente rallentato.

Nel mentre li aiutiamo a casa loro, resta dunque rilevante anche accettarli a casa nostra, almeno per i prossimi anni, senza spendere soldi per fantomatici centri di accoglienza e di parcheggio, ma costruendo abitazioni e favorendo la loro integrazione attraverso l’educazione e la professionalizzazione di persone che verranno a rimpinguare le nostre forze di lavoro che si assottigliano.

Il cima è già cambiato

Anche per l’ambiente, accanto alle molte misure che dobbiamo prendere per frenarne il degrado, dobbiamo cominciare a pensare seriamente a come vivere con un ambiente che è già cambiato e presumibilmente cambierà ancora nei prossimi anni.

Pur se si riuscisse a contenere sotto i due gradi il riscaldamento del pianeta, come richiede l’accordo di Parigi del 2015, questo comporterà comunque una modifica sostanziale del clima ed un innalzamento del livello del mare. Sono quindi da immaginare, fra le altre, misure per salvaguardare le città costiere, infrastrutture per la conservazione delle acque e, più in generale, politiche per favorire l’adattamento delle nostre attività alle temperature più elevate.

Rifiutare e cercare di resistere ai cambiamenti che si prospettano è sicuramente una reazione automatica e istintiva, ma poco producente.

La politica non la dovrebbe assecondare e non dovrebbe giocare su questi timori per ottenere consensi elettorali. Dovrebbe invece impegnarsi, non solo per mitigare questi cambiamenti, ma anche per produrre soluzioni di adattamento per contrastare i riflessi di eventi che comunque finiranno per prodursi.

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