Un regime europeo uniforme per le crisi d’impresa è essenziale per la Ue. Per questo il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la riforma della giustizia civile. I tempi lunghi delle liti e la lentezza delle procedure rallentano credito agli investimenti e sviluppo.

Il costo diretto della riforma non è grande. Il vero ostacolo da noi sarà il barrage politico che alzerà. Moratorie e garanzie varie stanno frenando l’esplosione delle crisi. La loro inevitabile scadenza accrescerà le pre-esistenti difficoltà. Le critiche non vanno però viste solo come difesa di privilegi. La realtà è complessa.

A febbraio 2019 è uscito in Gazzetta ufficiale il testo della riforma delle crisi d’impresa, che vuole preservare le aziende vitali e rimuovere lo stigma del fallimento, con sistemi preventivi di allerta volti a evitare di precipitare nella crisi. Pianificare è sempre più arduo, tanto conta la fortuna. La crisi non è sempre dovuta a inettitudine o imbrogli.

Tali intenti sfuggono a chi non riesce a rimuovere lo stigma e vede l’allerta come prodromo dell’inevitabile crollo; ciò ha indotto a rinviare l’avvio della riforma, ora fissato a settembre 2021. La ministra competente Marta Cartabia, esponendo alla camere le grandi linee di riforma, ha detto di volere solo programmi davvero attuabili e di favorire meccanismi alternativi per sciogliere le liti. Sono indicazioni utili, anche per accelerare l’entrata in vigore della “riforma sospesa”. Bastano poche modifiche, ad esempio con percorsi separati fra le imprese vitali, che pure della pandemia soffrono, e quelle che, pure prima, non avevano futuro. Utile pure consentire smistamenti in corso d’opera da una corsia all’altra, al variare delle condizioni.

Le banche sono strette fra due rischi opposti: concedere abusivamente credito dando soldi a chi è già saltato, o far saltare chi può ancora farcela. Esse vogliono ridurre le perdite col rapido realizzo delle garanzie, ma i debitori tirano in lungo per mantenere i beni, aiutati da una giustizia lumaca. I tempi lunghi costringono le banche a maggiori accantonamenti, onde la loro richiesta di procedure veloci e semplici. È ragionevole, ma accettarla tout court sarebbe un errore. Chi è cacciato di casa reagirebbe aspramente. Al grido di “punire le banche” i populisti avrebbero facile gioco.

L’exgravator

È sana regola accompagnare una riforma d’interesse generale con aiuti per chi ne subisce gravi danni. A essi si può provvedere con flessibile realismo, separando i bisognosi da chi, disponendo di soluzioni alternative, profitta della comoda lentezza. Una curiosità storica: nel 1340 il duca di Milano Luchino Visconti istituì l’exgravator, per sciogliere, in velocità e giustizia, le controversie. Doveva egli venire da fuori città, non avervi parenti, vivere da solo, mai godere di ospitalità alcuna. Nella Storia di Milano Pietro Verri annette la ritrovata prosperità milanese a questa decisione e all’assunzione dei “masnadieri” come guardie, con esiti ottimi (qui meglio non approfondire).

Si può pensare a un nuovo regime “ordinario” di realizzo delle garanzie, con procedure semplici e rapide, e uno speciale. Entrambe dovrebbero incentivare accordi stragiudiziali fra debitori e creditori, magari rapportati al valore contabile del credito al netto dell’accantonamento, con immediata deduzione fiscale della perdita. Il regime speciale varrebbe per chi non ha alternative. Per gli altri si potrebbe allora procedere in modi semplici e rapidi. Un moderno exgravator farebbe anche pulizia di un sottobosco professionale che attorno alle crisi d’impresa prospera, come spesso emerge dalle cronache giudiziarie. Bene fa Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo, a dettare nuove regole per i commissari straordinari (legge Prodi, Marzano etc.). In numerosi casi questi tirano avanti le procedure, a loro beneficio, a danno di imprese e lavoratori.

A dicembre 2020 l’economista Mario Draghi presentava, col collega Raghuram Rajan, alcune idee per un efficace riavvio delle economie, suggerendo di passare dagli aiuti a pioggia a sostegni che discernano fra chi può farcela e chi no. Ora il Draghi premier, per attuare le aspre ricette dell’economista, dovrà vedersela con l’unanime coro che, dalle banche a Confindustria, lo spinge a prorogare garanzie e durate dei finanziamenti fino a 15 anni. Per non moltiplicare gli zombie, al paese conviene piuttosto incentivare accordi fra debitori in difficoltà e banche.

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