Per quel cantiere in continua costruzione che è l’Unione europea, la guerra in Ucraina rappresenta un punto di svolta. In gioco non c’è solo il ruolo che saprà ritagliarsi nello scenario globale, ma anche ciò che va sotto il capitolo dei “valori” europei, in particolare in materia di accoglienza degli stranieri.

Di fronte ai milioni di persone fuggite in poco più di un mese dall’Ucraina, il più grande spostamento di persone nel continente dal tempo delle guerre mondiali, l’Ue ha reagito prontamente applicando la direttiva del 2001 per la concessione della protezione temporanea. L’Italia, recependo la misura, ha inoltre promosso l’«accoglienza diffusa» tramite associazioni del terzo settore e del volontariato, innovando l’approccio alla ricezione dei nuovi arrivati. E ciò che a lungo è stato denigrato come l’idealismo astratto dei confini aperti oggi appare non solo necessario, ma possibile.

Questa mutazione repentina sarà duratura? Cosa dobbiamo attenderci nel tempo che viene, soprattutto se la guerra dovesse perdurare e il numero di profughi aumentare ancora?

È ancora memoria viva, nei paesi europei, l’arrivo nel 2015 di oltre un milione di uomini, donne e bambini, provenienti soprattutto da Siria, Iraq e Afghanistan attraverso la rotta balcanica e il Mediterraneo. Ed è una memoria tragica, perché costellata di notizie di vite perdute nel tentativo di attraversare i confini di terra o di mare.

Il corpo del piccolo Alan Kurdi riverso su una spiaggia turca commosse, allora, l’opinione pubblica europea. Ma la solidarietà lasciò rapidamente il campo all’ostilità più feroce, alle barriere di filo spinato, agli accordi delle autorità europee con i governi ben poco democratici della sponda Sud del Mediterraneo per il controllo dei flussi.

L’involuzione del discorso pubblico nell’avversione ai migranti non ha fatto che accentuarsi da allora. Solo pochi mesi fa un altro bambino di un anno, siriano, moriva di freddo intrappolato con altre migliaia di persone alla frontiera tra la Bielorussia e la Polonia. Ma non cambiò l’atteggiamento né dell’Ue né dei paesi di confine, gli stessi che oggi accolgono centinaia di migliaia di profughi dall’Ucraina.

Sembra decisivo, in questo frangente, il fatto che i flussi siano largamente composti di donne e bambini, cioè di soggetti che maggiormente si prestano a una rappresentazione “umanitaria”, nonché l’affinità somatica, religiosa, culturale tra le persone accolte e le società di accoglienza, che facilita l’identificazione. Tant’è che già si profila un’accoglienza differenziata, per i cittadini ucraini e i residenti stranieri provenienti da quel paese. 

L’Europa è dunque cambiata o tratterà quella in atto come una risposta “eccezionale”? Saprà perseverare e migliorare nel dar prova dei suoi ideali o esaurirà la spinta solidale? È questo il bivio di fronte a cui siamo.

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