Da ieri, Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e Peugeot non sono più indipendenti, ma parte di una sola impresa: Stellantis. Dopo poco più di 120 anni finisce la storia Fiat. È singolare che l'operazione unisca, dopo 50 anni, il marchio Fiat a Citroen, che già nel 1968 Gianni Agnelli voleva comprare; lo bloccò Charles De Gaulle, per cui dire Citroen era come dire Francia. Intervistato da Ezio Mauro di Repubblica, al crepuscolo della vita, l'Avvocato si disse orgoglioso che il gruppo fosse ancora una fabbrica italiana di auto con base a Torino. Oggi tutto è cambiato.

Sarà stato un gran charmeur, ammirato ambasciatore dello stile italiano nel mondo, ma egli privilegiò la finanza e le relazioni di Cesare Romiti fra Roma e Milano, emarginando la competenza industriale di Vittorio Ghidella, poi costretto all'uscita.

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Vennero altre crisi, le morti in rapida successione di Gianni e del fratello Umberto con l'arrivo, in emergenza, dell'italo-canadese Sergio Marchionne, forte anche di esperienze americane. Queste furono utili, prima quando, nel mezzo di una delle tante crisi, Marchionne costrinse General Motors a sborsare 2 miliardi di dollari in cambio di nulla: solo per non dover acquistare, come chiesto dall'accordo chiuso qualche anno prima da Paolo Fresco, l'80% di una Fiat alle corde.

Nel 2008, poi, a Marchionne riuscì un'azzardata mossa da gran giocatore di poker: farsi regalare la Chrysler, in bancarotta, conferendo in cambio expertise Fiat nei piccoli motori. Dopo la nascita di Fca egli riuscì con ardita manovra a smistare il controllo di Ferrari ad Exor, principale azionista di Fca, privando però questa del suo marchio più prezioso; l'operazione, certo approvata con tutti i crismi, si è trasformata, come facilmente prevedibile e da qualcuno pur previsto, in un gigantesco trasferimento di risorse a vantaggio del soggetto controllante. Così accade che oggi Fca capitalizzi 38 miliardi di dollari, contro i ben 55 miliardi di una Ferrari che Marchionne abilmente vendette al mercato come marchio del lusso.

Il gruppo globale, poco italiano

Gianni Agnelli voleva un gruppo globale, centrato sull'auto, italiano certo, pur se dell'Italia quasi si vergognava, come di un parente povero che non puoi rinnegare.

Il suo erede designato John Elkann l'ha trasformato in un gruppo finanziario cosmopolita, controllato dall'Olanda e che paga le tasse a Londra. L'Italia non serve più, senza escludere, certo, i finanziamenti per 6,3 miliardi, garantiti dalla italiana Sace, a fronte delle vestigia industriali domestiche del gruppo.

La strategia resta quella di Marchionne; aumentare il peso della finanza e ridurre quello dell'auto, che richiede grandi capitali per finanziare gli investimenti. La transizione all'elettrico lo espone a rischi immensi: per gli effetti sul bilancio energetico complessivo, ancora da sviscerare, per problemi tecnici nel motore, nella distribuzione di potenza, nei freni, nella ricarica etc..

Su questo sfondo vanno viste le prospettive aperte dalla fusione Fca-Psa, partendo da una banale constatazione: il 30 per cento di Exor in Fca vale, pre-fusione, 11,4 miliardi di dollari, mentre il 30 per cento di Ferrari vale 5 miliardi in più. A Ferrari la minaccia dell'elettrico non fa paura, nel mondo ci saranno sempre 10 mila ricconi disposti a spendere un piccolo capitale per comprare un'auto, magari anche elettrica, che non va guidata, ma solo mostrata; non davvero un auto, ma un investimento, anche perché  delle sue prestazioni non ci si può avvalere.

E la percentuale in Ferrari resta immutata, mentre Exor avrà il 14,4 per cento di Stellantis; qui gli altri principali azionisti saranno la Francia con il 6,2 per cento e la famiglia Peugeot con il 5,5 per cento.

Chi compra chi

Exor è sì il primo azionista, ma il prospetto di ammissione al mercato di Stellantis, dovendo specificare chi ha comprato chi, specifica:«Based on the assessment of the indicators under IFRS 3 and consideration of all pertinent facts and circumstances, FCA and PSA’s management determined that PSA is the acquirer for accounting purposes and as such, the merger is accounted for as a reverse acquisition».

In chiaro, Exor ha venduto Fca a Peugeot, divenendo un importante azionista di questa, cosa peraltro evidente nella distribuzione del numero di posti (sei su undici ai francesi) e del potere nel CdA di Stellantis, che sarà guidata dal gran capo di Peugeot, Carlos Tavares.

Per Exor Ferrari vale, e conta, molto più di Fca. Se la prima è il gioiello della corona, la seconda è un asset disponibile in ogni momento a fronte dei futuri sviluppi, magari riguardanti l'eliminazione di capacità produttive eccedenti; in chiaro, la chiusura di impianti industriali resi superflui dalla fusione.

FIAT FACTORY, TURIN, ITALY A powerful atmospheric, male figure looms over the industrious factory site and lends a hand with its construction Date: 1917

Di queste chiusure finora non si parla, ma non serve il profeta Ezechiele per vederle all'orizzonte. Facile pensare che la Francia sarà l'ultima a subirle. Se poi serviranno aumenti di capitale, Parigi farà i propri conti complessivi, e le famiglie azioniste i loro: Exor, grande gruppo finanziario, valuterà piani di investimento e rendimenti attesi, decidendo di conseguenza. Dati i forti rischi dell'investimento nell'auto, si raccomanda di non trattenere il respiro; quel disimpegno che per Marchionne era una buona possibilità, per Exor sarà una quasi certezza.

L'operazione Ferrari ricorda il riacquisto, nell 1986, delle azioni Fiat vendute alla Libia di Gheddafi nel '76, per quella che da noi fu la crisi petrolifera, ma nei petro-stati una manna. Le società quotate del gruppo furono allora messe al servizio degli interessi della Fiat, incluse quelle che erano state vendute al mercato promettendo che si sarebbero occupate di tutt'altro; su ordine del Comando Supremo esse corsero come soldatini a svenarsi in battaglia per il bene sabaudo.

Una nota finale la merita la presenza di Exor nella stampa; dopo l'uscita, su input di Marchionne, da Rcs- Corriere della Sera, essa ha acquistato il 44 per cento del settimanale britannico The Economist, quota che le dà in teoria il controllo. Exor ha anche recentemente rilevato la quasi totalità del capitale di Gedi, che controlla anche Repubblica.

A Londra Elkann ha però dovuto accettare il limite statutario del 20 per cento per l'esercizio dei diritti di voto, e che la designazione del direttore del settimanale vada approvata da un comitato di trustee, che veglia sull'indipendenza del periodico fondato quasi 180 anni fa. Diciamo solo che a Repubblica non è andata proprio così.

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