La pandemia, che Richard Horton, direttore di Lancet, chiama più propriamente sindemia, cioè la sinergia tra due o più pandemie, sta svelando il proprio volto. Il virus si muove seguendo strutture portanti delle società. Colpisce e uccide quasi sempre persone con redditi bassi, socialmente emarginate, oppure affette da malattie croniche. È il risultato di politiche pubbliche pregresse, che nel corso della storia si sono consolidate a prescindere dai regimi su ambiente, salute, istruzione, lavoro.

Le criticità fisiche appaiono strettamente legate all’ambiente e al tenore di vita; i malati cronici, gli obesi, i diabetici e i cardiopatici sono spesso persone a basso reddito, che si sono nutrite per decenni di cibo spazzatura, con accessi limitati o nulli a cure specifiche, persone sole, assistite – quando funzionano – dai servizi sociali.

Moltitudini già maltrattate dal destino patiscono in parte conseguenze ulteriori: un 10-20 percento di infettati guariti, cioè con tampone negativo, mostrano una patologia nuova, siano essi stati ospedalizzati o meno. Si tratta dei «lunghi-trasportatori» (“long Covid”, “long Haulers”) con sequele che possono interessare cuore, polmoni, fegato, reni, con sintomi quali astenia, asma, perdita di memoria e altro; essendo la pandemia da Covid-19 troppo recente, non si può dire se tali sintomi potranno persistere in forma cronica.

 All’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, il monitoraggio condotto su 1.200 guariti rispetto a 1.700 pazienti dimessi, pur evidenziando che le complicanze da “long Covid” non progrediscono ma sembrano attenuarsi nel tempo, hanno comportato effetti tali da rendere difficoltoso il ritorno ad una vita normale anche sotto l’aspetto psicologico.

Il professor Francesco Landi del Policlinico Gemelli di Roma ha parlato di sindrome post traumatica da stress, con conseguenze assimilabili a quelle provate dai reduci di una guerra.
In questi mesi gli scienziati sociali hanno scomodato i nomi classici della sociologia, impegnandosi a spiegare come le politiche emergenziali possano condurre a una “ossessione securetaria” e a una “società immunitaria” quale “paradigma della modernità”.

I giuristi si sono interrogati sui processi decisionali e sul loro eventuale contrasto con il dettato costituzionale, insistendo per esempio sul fatto che la forma del Dpcm fosse meno corretta del decreto legge, che permette al parlamento di conservare la sua sovranità decisionale con la conversione in legge.

Altri hanno messo in evidenza come fosse fuorviante parlare di un diritto soggettivo alla sicurezza, perché non rientrerebbe nella sfera dei diritti inviolabili.

Chi si è spinto ancora oltre ha sostenuto un «nazionalismo securitario», fortemente libertario, che ha messo insieme riduzionisti e negazionisti della malattia. In un commento a un post Facebook, un consigliere comunale lombardo ha scritto che «il piagnisteo sulle vittime penso che «per salvare poche migliaia di vecchietti stiamo rovinando sul lungo termine la vita di un sacco di giovani» e quindi «si può riaprire e poi viva Darwin».

Il virus ha portato alla luce le gravi mancanze del nostro sistema sanitario. Perché quella che stiamo vivendo somiglia sempre di più a una crisi sistemica, provocata dai tagli dei decenni passati, ma anche da una cattiva gestione dei fondi erogati, da spese male orientate, da professionalità non sempre all’altezza e dalla mancanza di una pianificazione/previsione.

Persone sbagliate al momento sbagliato

La situazione che stiamo vivendo sta dimostrando che in Italia ci sono moltissime persone che si sono trovate in passato nel posto giusto al momento giusto e che per questo hanno fatto carriera; ma adesso sono nel posto sbagliato al momento sbagliato, e contribuiscono al caos generale che porta a un aumento di casi e di morti. Pochi giorni fa, per esempio, il professor Emilio Campos, vicepresidente della Società oftalmologica italiana, ha pubblicamente messo in dubbio il sistema di reclutamento dei docenti di oftalmologia, ponendo l’accento su presunti accordi tra commissari dettati da opportunismo più che dalla valutazione dei candidati. Al momento non sappiamo se la magistratura aprirà un fascicolo.

Università e Regioni sono legate da un destino comune, quello dell’autonomia. Fa bene, quando la si sa gestire; un po’ meno, quando scappa via. Poi arriva il vaccino, che ci salverà, e tutto, forse, tornerà come prima.

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