To Rome with love non è il migliore dei film di Woody Allen. Non regge il confronto con classici come Manhattan o Io e Annie, e soprattutto con i suoi capolavori più recenti Match Point o Midnight in Paris. Tra le varie storie che si intrecciano in To Rome with love spicca però un personaggio geniale, Leopoldo Pisanello, interpretato con la solita poesia da Roberto Benigni.

Una persona normale, grigio impiegato d’azienda, all’improvviso e senza motivazione alcuna, inizia a godere di una smisurata popolarità. Il famoso quarto d’ora di Andy Warhol.

Diventa un leader, punto di riferimento assoluto, per la moda, per l’azienda dove lavora, gode di un autista, viene invitato a mondane anteprime cinematografiche ed è perennemente braccato dai paparazzi. La sua vita sembra travolta dentro il turbinio della celebrità, se non fosse che, come è cominciata, d’un tratto svanisce.

Il banale Pisanello è la metafora perfetta della politica italiana del post-berlusconismo.

Dopo la fine del leader forzista, abbiamo visto saltare alla ribalta il Matteo Renzi del 41 per cento alle elezioni europee.  Sembrava destinato a diventare il nuovo leader della politica italiana per il resto dei suoi giorni.

Ogni sospiro di Renzi era imprescindibile per i media. Peccato si sia frantumato, ossessionato dal referendum sulla costituzione. Era così sicuro di vincerlo che giurò ai quattro venti che avrebbe lasciato la politica in caso contrario. Naturalmente ha perso ed è rimasto, sbriciolandosi intorno al 2 per cento.

D’emblée giornalisti e televisioni hanno cominciato a rincorrere i Cinque Stelle. Già nel 2016 i riflettori si accendono sulle due sindache pentastellate, Chiara Appendino e Virginia Raggi, rispettivamente al governo di Torino e Roma.

Nel 2018 il movimento fa il botto su piano nazionale, con il 33 per cento si piazza vincitore assoluto delle elezioni politiche. Di nuovo sembravano incarnare il futuro del Paese e di nuovo la loro stagione è durata un battito d’ali, dimezzando presto il consenso ottenuto. Al momento pare vogliano pure dividersi.

Ecco quindi l’astro Matteo Salvini che, cogliendo il suo momento d’oro, cerca di incassare popolarità a go go tra una Papeete beach e trilli di campanello, rigorosamente attrezzato con felpe della Polizia.  Con poca lungimiranza insiste su antichi temi xenofobi e pensieri antieuropei che lo portano a schiantarsi durante il governo gialloverde. Lo stesso si può dire di Giuseppe Conte, da osannato premier durante la pandemia a oggi leader debolissimo.

Man mano che passa il tempo, le stagioni si accorciano. Qualche anno per Matteo Renzi, poco più di dodici mesi per il Movimento 5 Stelle, una manciata per Matteo Salvini.

Per fortuna Sergio Mattarella a un certo punto si è stufato, ha fischiato la fine dell’intervallo e ha chiamato a condurre il carro Mario Draghi, la cui popolarità al contrario di quella dei suoi predecessori che non oltrepassava il confine con Chiasso, è riconosciuta in tutto il mondo.

Al momento si sta preparando la stagione di Giorgia Meloni. È pronta per il suo quarto d’ora di celebrità. Vedremo quanto durerà.

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