Mentre la guerra continua siamo lungi dal prevedere in modo credibile le spese pubbliche che ne deriveranno per i Paesi “occidentali”: dai sussidi ai produttori al sollievo dei costi energetici, dall’entità di tali costi agli oneri per i profughi, dagli aiuti all’Ucraina al costo degli armamenti. Prima ancora di cominciare i conti, dobbiamo decidere la qualità e l’entità del nostro coinvolgimento nella guerra.

Mancano anche gli elementi per stimare le conseguenze della crisi bellica sulla crescita e l’inflazione anche se è quasi sicuro che l’impatto contrarrà la prima e aumenterà la seconda: un effetto stagflazionistico. La grande incertezza disorienta politiche macroeconomiche, fiscale e monetaria.

È probabile che l’impatto sarà comunque significativamente maggiore in Europa che negli Usa, dove la banca centrale lo ha per ora definito “molto incerto” e non tale da modificare le decisioni di politica monetaria.

La Bce, con una mossa reversibile, ha timidamente annunciato un prossimo arresto degli acquisti di titoli pubblici ma insiste nel lasciarsi aperta la strada espansiva. L’Unione europea non sa che fare del suo Patto di Stabilità e Crescita che si avviava a riformare e riattivare. In Italia si discute se vi siano ragioni per uno “scostamento di bilancio” come quelli che furono decisi a più riprese negli anni scorsi in seguito alla pandemia.

La quale ha un’evoluzione ancora incerta. E incerti sono gli sviluppi dei colli di bottiglia che ostacolano le catene del valore, le produzioni e i commerci, da quando la crisi Covid le ha traumatizzate. Siamo al terzo anno di politica fiscale e monetaria di emergenza, dopo aver attraversato le onde improvvise della crisi del 2008 e di quella dell’eurozona.

Se non riprendiamo il controllo rischiamo disastri, dall’inflazione galoppante alla crisi finanziaria.

Come sarebbe bello poter oggi contare su spazio fiscale, liquidità moderata, tassi normali, per poter spendere liberamente, creare moneta, abbassare i tassi!

Alcuni paesi, come la Germania e i "frugali", hanno qualche spazio fiscale, pur nella grande incertezza d’insieme. Avranno un nuovo argomento a favore di politiche molto prudenti in tempi normali: riservarsi spazio per rapide manovre espansive in caso di imprevedibili avversità.

Ciò va al di là della classica ricetta di muovere le leve fiscali e monetaria in senso anticiclico, cioè espansivo quando la crescita rallenta troppo e restrittivo quando accelera.

Non si tratta di ciclo, con le sue prevedibili fluttuazioni, ma di “cigni neri”, cioè quei fenomeni imprevedibili al punto che se ne nega l’esistenza a priori, salvo doverla ammettere quando accadono davvero. Neri, ma anche piuttosto frequenti! In un mondo che negli ultimi tre lustri è passato da un’emergenza all’altra, dobbiamo riuscire a inserire il rischio in modo più concreto nelle ricette di politica economica. Soprattutto il rischio con dimensione notevole e segno sicuramente negativo.

Ciò significa, in tempi normali, tenere il bilancio e la moneta più stretti, e i tassi di interesse leggermente più alti di come consideravamo prima giusto e limitare l’attivismo fiscale e monetario quando l’economia ristagna.

Inoltre, se le brutte sorprese (Lehman, eurocrisi, pandemia, guerra) ci portano sempre a spendere di più e creare più liquidità, dobbiamo impegnarci a fare il contrario appena finiscono e, soprattutto, quando ci sono sorprese belle! In altri termini, dobbiamo essere più frugali.

Anche per esser davvero capaci di espansione efficace quando serve di più.

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