Il governo ha infine presentato la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Ora serve una discussione vera, non un minuetto, nell'ovvio rispetto delle scadenze Ue, in parlamento e fra i cittadini. Non si può escludere che ne escano idee valide; è la democrazia, bellezza.

Potremo ricevere circa 200 miliardi fra grants (regali) e crediti, ma non verranno gratis; dovremo fornire, o garantire, la nostra quota dei fondi, anche grazie alle imposte cui rinunceremo a favore della Ue (risorse proprie o own funds).

Con tipica inversione della logica, si parla più dell'esecuzione che del piano; non va affidata ai manager pubblici, cui il da fare non manca. Abbondiamo di persone valide e soprattutto dalla schiena dritta, che darebbero volentieri tempo al paese; una competenza da sfruttare.

Più dell'esecuzione, conta il piano. I fondi non arriveranno da un ipotetico Recovery Fund, bensì da Next Generation Eu (Ngeu); serve a preparare la prossima generazione. Il rischio è che finisca a chi già c'è e vota, lasciando fuori chi non c'è o non vota.

Gli obiettivi della bozza sono condivisibili: l'adeguamento dell'amministrazione pubblica al nuovo mondo digitale, la riduzione dei consumi fossili (contro il cambiamento climatico) e una maggior diffusione del benessere, affrontando i divari di genere e territoriali. Il punto dolente è quel che non c'è.

Oltre a una griglia per valutare i risultati effettivi (l'han qui scritto ieri Fabrizio Barca e altri) manca un'idea di fondo: solo liberando ampi spazi ai giovani, di oggi e di domani, si potrà adeguare il Paese alle sfide future.

Troppo vaghi sui giovani

Scarni e sparsi sono gli accenni della bozza alla prossima generazione. Leggiamo che «un’azione specifica è rivolta a riformare le politiche attive e di formazione dei lavoratori, occupati e disoccupati. In particolare, queste azioni sono volte a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro». Nè di più sappiamo leggendo che “Il Pnrr affronta anche le disparità di genere, territoriali e generazionali nel mercato del lavoro”. Come dicono a Roma, siamo a “Caro amico”.

Chi è nato nel baby boom o poco prima, come lo scrivente, lo ricordi: siamo la generazione più fortunata della nostra Storia. Non ci han chiesto di andare a morire per la bandiera; preparati a un mondo aspro, abbiamo vissuto nel periodo più facile mai visto in Italia.

Ormai la nostra società è costruita a misura d'anziano. Rottamare è un brutto verbo, perché ignora i consigli che i vecchi, non più da protagonisti, possono dare, ma la gerontocrazia, che ci domina, è parola ancora peggiore.

Non è solo demografia; dice nulla che fra i nostri cantanti più visti in Tv abbondino gli ultra sessantenni, se non ultraottantenni? Gli accordi erga omnes degli anni '70 ci han dato strutture pubbliche piene di gente ora in là con gli anni. Tre anni fa nei nostri atenei avevano meno di 40 anni solo 20 professori ordinari su 13 mila, 900 associati su 20 mila, 1400 ricercatori a tempo indeterminato su 16 mila (meno degli associati). Più del 95 per cento di chi prepara i giovani negli atenei ha oltre 40 anni.

Se si passa alla pubblica amministrazione, docenti alle superiori inclusi, i numeri sono forse peggiori. È inutile insistere ancora sulla noncuranza per la scuola in tempo di Covid. Queste coorti dovrebbero preparare i giovani al futuro, ma per i nostri reggitori non è un problema, tanto meno il Ngeu è il modo per risolverlo.

Le fortune dei boomer

Non paghi della loro buona sorte, i baby boomer hanno ottenuto benefici tali da renderci uno dei Paesi in cui si vive meglio (salvo quelle regioni meridionali che non hanno fatto scelte attente all'interesse comune contro la violenza e il particulare). Anziché tassarci, i governanti han preferito, per restare tali, chiederci soldi in prestito; quei benefici han così raddoppiato, negli anni '80, l'incidenza del debito sul Prodotto Lordo.

Di qui vengono i “diritti acquisiti” che ci s'è tanto battuti per difendere.

Come la mia libertà finisce quando lede quella altrui, però, anche i miei diritti, pur acquisiti, cadono se inibiscono agli altri di godere dei loro; le prossime generazioni non han meno diritto di noi ad una vecchiaia decente (difficile pretendere “agiata”). Si pensi alle pensioni, Quota 100 inclusa; la legge Fornero ed altre hanno reso (quasi) sostenibili le attuali, ma la nebbia gravante su quelle future non incoraggia i giovani. E il Reddito di cittadinanza va mutato presto in una versione ampliata e rafforzata del Reddito d'Inclusione; volto ad accompagnare i disoccupati verso un lavoro, esso fu ucciso in culla dall'irruzione del Conte1.

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