Le elezioni politiche anticipate, accorpate alle amministrative appena sarà possibile, sono a questo punto la soluzione più utile per il paese e la più vantaggiosa per tutti i principali leader politici.

È chiaro che Matteo Renzi aspetta la formazione di un esecutivo debole da impallinare, per vedere se la guerriglia genera qualche consenso dato che il suo cospicuo gruppo parlamentare e le altre mosse concepite dal suo genio tattico hanno prodotto finora meno voti dei tweet di Carlo Calenda.

Il calcolo di Renzi è uguale e contrario a quello di Matteo Salvini nell’estate del 2019: che tutti gli altri siano costretti loro malgrado a fare il suo gioco.

Salvini contava sulla inevitabilità di elezioni anticipate, Renzi conta sulla inevitabile durata della legislatura. Se solo avessero un poco di lungimiranza e coraggio, anche stavolta tutti gli altri dovrebbero capire che sarebbe più vantaggioso per ciascuno di loro, oltre che per il Paese, cambiare schema.

Salvini e Giorgia Meloni sono dati vincenti e hanno l’interesse più ovvio a chiedere elezioni anticipate. Le dovrebbero però affrontare senza i loro proclami preferiti.

L’immigrazione potrà tornare a essere una questione che mobilità, ma non prima dell’estate. Ergersi a sovranisti mentre siamo in attesa del primo generoso assegno dell’Ue apparirebbe surreale. Dovrebbero invece presentarsi con qualche idea su «come non sperperare il tesoretto», forse anche entrando in conflitto, bilanciando gli interessi del Nord e del Sud.

Il premier e la coalizione giallo-rossa dovrebbero mettere nel conto una rinuncia anticipata e forse definitiva a Palazzo Chigi. Ma difficilmente ci sarà nel futuro prossimo un momento migliore per provare a riconquistare la posizione.

Per quante siano le risorse da amministrare, non potranno contrastare la caduta di benessere che verrà causata nei prossimi due o tre anni dal ciclo avverso della pandemia.

Al segretario del Pd Nicola Zingaretti il voto consentirebbe di fare il passo da cui è tentato da mesi. Con elezioni politiche accorpate alle amministrative potrebbe dimettersi da presidente della regione Lazio, candidarsi al parlamento, rifare i gruppi a sua immagine, secondo una prassi ormai consueta nel Pd.

Siccome si sa che questa è la regola (nessun segretario si mette in gioco se prima non ha almeno fatto una volta le liste per Camera e Senato), anche per suoi potenziali competitori interni, prima è meglio che dopo.

Secondo le intenzioni di voto rilevate in media dai sondaggi, il centrodestra parte in vantaggio, ma stiamo parlando di pochi punti percentuali, inferiori ai margini di errore. Si tratterebbe in realtà di una competizione apertissima. E il Rosatellum, un sistema elettorale criticato spesso a torto, in presenza di una dinamica bipolare, darebbe con elevata probabilità alla coalizione vincente una maggioranza confortevole ancorché non straripante. Gli unici a temerlo dovrebbero essere i renziani che lo hanno inventato.

Se da una parte ci sarebbero Meloni, Salvini e un Silvio Berlusconi ancora una volta indispensabile, dall’altra sarebbe naturale vedere alla prova l’alleanza Pd-M5S, accompagnata da una lista del premier.

Può darsi che a Giuseppe Conte questa prospettiva piaccia meno di quanto hanno detto e fatto dire i suoi detrattori. Ma potrebbe diventare una necessità.

Se Conte vuole continuare a «dare un contributo”» sarà utile che misuri il suo consenso, allargando, se riesce, il sostegno alla coalizione quanto basta per vincere.

Obiezioni preventive

Si dirà: non ci possiamo permettere una campagna elettorale mentre c’è da gestire la pandemia e il Recovery plan. Lo diranno certamente i parlamentari a fine corsa. Sennonché le prossime amministrative fermeranno comunque l’attività del parlamento e saranno combattute come elezioni politiche.

Vanno al voto 1.263 comuni, tra cui Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste che fanno da sole il 10 per cento della popolazione italiana.

Soprattutto, una partita decisiva come il Recovery plan non può essere gestita da un governo appeso ogni giorno a uno starnuto di Berlusconi o a una impuntatura di Renzi.

È vitale per il paese che quelle risorse – spese in larga parte a debito – non vengano usate solo per distribuire ristori a chi un patrimonio o un lavoro stabile ce l’ha.

Bisogna porre le condizioni di una ripresa duratura, anche imponendo costi a chi è più garantito per dare opportunità a chi rischia di rimanere senza speranze.

Un mestiere che può essere svolto certamente meglio da un governo con una prospettiva temporale più lunga della crisi in cui siamo appena entrati.

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