C’è chi dice che il Documento di economia e finanza (Def) ha previsioni ottimistiche, e chi dice il contrario. Le previsioni, di breve e medio periodo, tengono conto delle spese pubbliche in deficit decise finora e di quelle finanziabili col Next Generation Eu (Ngeu). Nel complesso dicono che nei prossimi 4-5 anni supereremo la crisi da Covid e torneremo su un sentiero di crescita che, a giudizio del governo, rende anche sostenibile l’indebitamento aggiuntivo. Ma la crescita di medio termine che proiettano non pare soddisfacente. Basti dire che dal 2025 al 2031 la crescita reale media annua del Pil è prevista dell’1,1 per cento se Ngeu avrà molto impatto e solo 0,6-0,9 per cento se ne avrà un po' meno. Il calcolo si basa sulla crescita della capacità produttiva e la suppone pienamente impiegata.

Non sarebbe un vero cambio di passo. Non ci distaccheremmo dalla lentezza degli ultimi decenni. È un ritmo solo “potenziale” che non protegge, in caso di shock, da recessioni temporanee anche severe e non lascia spazio per migliorare davvero la distribuzione del reddito e la mobilità sociale. Un ritmo che manterrebbe il rapporto debito/Pil su livelli pericolosamente elevati: attorno al 140 per cento secondo il Def. Tre righe importanti del Def spiegano senza dirlo la modestia dello scenario di medio termine: «Va ricordato che non si è tenuto conto degli effetti sulla crescita delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che dovrebbero esercitare un notevole effetto propulsivo sulla crescita del Pil». Dunque si tiene conto dell’impatto delle spese finanziate da Ngeu ma non delle riforme strutturali (giustizia, pubblica amministrazione, concorrenza, ecc.) che richiede.

L’esclusione delle riforme dalle previsioni è prova di serietà. Draghi lo aveva detto: prima le disegniamo e le approviamo, poi potremo tenerne conto. Ma lo scenario che risulta è allora ibrido e incerto. I finanziamenti di Ngeu richiedono l’avvio di riforme, parti essenziali della natura trasformativa del programma. Immaginare di spendere senza cambiare ingranaggi essenziali del nostro sistema economico significa fissare un benchmark astratto, non una previsione realistica. Autorizza il sospetto che potremmo spendere senza riformare, finendo per finanziare progetti inutili. Nel medio termine faremmo allora anche peggio delle già modeste previsioni.

Il Pnrr a fine mese dirà l’essenziale delle riforme previste, sulle quali dovremo poi concentrare l’attenzione. Fra i loro benefici ci sarà la maggior crescita di medio-lungo. Il loro costo economico di breve potrà considerarsi finanziato. Rimarrà il grande costo politico di disturbare equilibri di potere, interessi speciali e corporazioni. E quello di un cambiamento culturale di parte della classe dirigente del paese perché lavori a un sistema più giusto ma anche più competitivo, più sfidante per chiunque detenga una posizione, più attento agli incentivi e meno addormentato da iper-garanzie e sussidi, più integrato nel mondo che cambia e meno rifugiato nelle protezioni statali.

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