La guerra in Ucraina è un attacco alla democrazia che esaspera i problemi del cambiamento climatico e dell'inflazione, a sua volta legata al governo economico della Ue; e speriamo di poterci scordare del Covid.

Semplificando, abbiamo tre nodi: futuro della democrazia, della vita umana sulla Terra, inflazione/governo economico. Essi stringono al collo specialmente l'Europa e l'eurozona (Ez); scioglierli tutti assieme, senza una gerarchia di priorità, è impossibile.

Ovviamente la minaccia alla vita umana soverchia i rischi per la democrazia, a loro volta più pericolosi di cattivo governo economico Ue e galoppante inflazione; ogni mossa volta a sciogliere un nodo modifica però lo stato degli altri due, innescando infinite iterazioni sull'insieme.

L'economia non è scienza esatta ma disciplina sociale, studia i comportamenti delle persone e le loro relazioni, non quelle fra equazioni, o macchine governate da algoritmi.

La scelta difficile

Se la priorità assoluta è difendere la democrazia, la doverosa difesa dell'Ucraina potrebbe anche sfociare, per una serie di errori che richiamano il fatale 1914, nella guerra nucleare, dei cui effetti sulla Terra meglio non parlare.

Se però il rischio ci paralizza, l'invasore sarà premiato, e troverà pure compagni per nuove prodezze; il mondo sarà meno civile e sicuro.

Se si antepone a tutto la difesa della vita il quadro già si biforca. Gli alti prezzi dell'energia potrebbero spingerci ad investire in fonti alternative, svezzandoci dal fossile, ma intanto aiutano l'aggressore; potrebbero anche, al contrario, farci scoprire alcuni effimeri vantaggi della nuova realtà.

Se per fermare l'aggressore non gli compriamo più il gas, ma torniamo a fonti energetiche come il carbone, vince un punto la democrazia, ne perde uno il nostro futuro sulla Terra.

È difficile che parta un'aspra lotta all'inflazione in Europa, specie se la guerra dura a lungo. La Bce annuncia nuovi strumenti contro le crisi da panico dei mercati, impediti finora dalla Bundesbank di Weidmann ma ancora vaghi.

Quanto a noi, dovremo combattere inflazione e debito pubblico, in un paese che male paga il lavoro; non facciamo nulla sul salario minimo? Aspettiamo il confronto governo-sindacati, ma rifare il patto del 1993, governo Ciampi, oggi pare un miraggio. Incombe sull'Ez la revisione del Patto di Stabilità e Crescita, sospeso per Covid, ma i suoi problemi vanno ben oltre il Patto.

A trent'anni dalla sua fine, la Storia è tornata, trovando impreparata la Ue. Manca da sempre una comune visione dell'interesse dei suoi cittadini, ardua sì da fissare, specie nella nebbia della guerra, ma pur esistente.

Dalla caduta del Muro contano meno le istituzioni comuni, sempre più gli stati membri; la Commissione è sotto loro diretta tutela, solo la Bce incarna (per quanto ancora?) il vero spirito unitario.

La fine della “Guerra Fredda” poteva distendere i rapporti con Mosca, ma le pacche sulle spalle di Berlusconi al sodale Putin erano solo teatro; la Russia espia ora il sostegno all'aggressore, condannata alla latitanza dal consesso civile.

La teoria dei giochi e l’Ue

Tutto l'assetto istituzionale europeo va ridisegnato, visti i grandi mutamenti degli ultimi anni. Per darselo, fissare le priorità e investire cifre fuori dalla portata degli stati serve una nuova Ue, essa ora è a Rodi e deve saltare, facendo quanto non fece finora; solo un “Atto straordinario” potrà indicarle il futuro, identificare alfine quella visione, farne discendere gli effetti sulla politica estera, sulla difesa, sull'economia, sulla rappresentanza dei cittadini, sulle istituzioni e sulla società che tutte le sorregge.

A tal fine potremo avvalerci degli esperti di teoria dei giochi e dell'intelligenza artificiale, ma ci mancherà certo la finezza tecnica e psicologica di John Maynard Keynes. Sciogliere insieme i tre nodi è impossibile; non si può né pensare che ci riescano, separatamente, i 27 stati, né sperare nell'unanimità.

Questo trilemma intrattabile impone radicali modifiche ai Trattati, a partire dalla fine del diritto di veto. Se non affronterà decisamente tali esistenziali questioni, l'imminente chiusura della Conferenza sul Futuro dell'Europa - finora apparsa scialba - resterà una tappa dell'onesta routine brussellese.

Solo una “testa centrale”, dotata di poteri reali, autorevole e attrezzata potrà, forse, sciogliere il trilemma. Non costruirla significa affidare la decisione al caso, darsi in ostaggio alla fortuna; saremmo indegni della nostra vecchia Europa.

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