Luigi Di Maio ha perso un’ottima occasione per stare zitto. “Leggo dell’iniziativa parlamentare di qualcuno che vorrebbe introdurre una patrimoniale e dunque un’altra tassa per colpire imprese e lavoratori”, ha scritto su Facebook rivelando così a) di non conoscere la proposta di Nicola Fratoianni e Matteo Orfini, che sostituisce l’Imu sulle case che ancora si paga e il bollo sui conti correnti con una piccola aliquota annua sui patrimoni b) di non avere alcuna idea di come funzionano le tasse c) di non aver capito la natura della crisi da Covid e il suo impatto sulla disuguaglianza.

Per definizione, un’imposta sul patrimonio non colpisce imprese e lavoratori, che sono tassati sul reddito, a volte quel reddito può diventare risparmio e quindi diventare, eventualmente, patrimonio. Ma l’alternativa a tassare il patrimonio, cioè le rendite, è tassare il lavoro. Cioè le imprese e i loro dipendenti.

Di Maio, oltre a non conoscere nulla di fisco (ed è stato ministro dello Sviluppo!), non ha capito questa crisi: gran parte dei redditi da lavoro esistono ancora soltanto per l’intervento pubblico, sottoforma di blocco dei licenziamenti, ammortizzatori sociali e ristori di vario genere. Molte imprese sono insolventi, non hanno perso soltanto clienti ma hanno visto svanire un modello di business forse per sempre, sono bombe in attesa di esplodere, contagiando il sistema bancario che le ha finanziate.

Dal lato dei patrimoni, invece, la crisi non c’è. L’indice di riferimento per la Borsa di Milano, Ftse Mib, è invece soltanto del 5 per cento più basso rispetto a un anno fa, quando era su livelli altissimi, sui conti correnti degli italiani si sono accumulati 1682 miliardi, l’8 per cento in più in un anno (chi ha redditi alti non sa come spendere, non va al ristorante, non va in vacanza, non ha bisogno di aggiornare i vestiti alla moda…), forse soltanto gli immobili risentiranno della crisi, per via del calo dei turisti e dello smart working che cambia le esigenze abitative.

Di fronte a questo scenario, la scelta di politica economica è semplice: le risorse per tamponare gli effetti della crisi, vanno prese dalle rendite di oggi o dalle generazioni future attraverso l’emissione di debito pubblico?

Le politiche straordinarie della Bce rendono il debito relativamente poco costoso, ma estrarre soldi dalle rendite costa ancora meno e ha il benefico effetto collaterale di generare una società più equa e modificare gli incentivi: se gli impieghi improduttivi di risorse sono più tassati, converrà spendere o investire: invece che comprare un monolocale al nipote ventenne, meglio pagargli un master.

Se i Cinque stelle pensano che il loro futuro sia nel centrosinistra, non può essere quella di Di Maio la linea da seguire. Qualunque forza progressista, in questo momento storico, dovrebbe lottare contro le rendite e le disuguaglianze, non ergersi a loro protezione.

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