Eccoci ad un’altra settimana cruciale per la sicurezza in Europa, con incontri e vertici a ripetizione – da Kiev a Londra, da Istanbul a Tirana – e formati sempre più diversificati per far fronte a sfide multiformi e complesse. Hanno cominciato i “volenterosi” europei, riunitisi prima a Kiev a livello di leader (in formato Weimar +) e poi a Londra fra ministri degli esteri (con Ue e Ucraina): ne sono uscite la proposta di un cessate il fuoco di un mese sul fronte russo-ucraino e la determinazione a continuare a sostenere Kiev e a mantenere ed eventualmente intensificare le sanzioni Ue contro Mosca (se necessario ricorrendo ad una diversa base legale qualora l’Ungheria si opponesse).

Oggi gli sguardi saranno invece tutti puntati sulla Turchia, fra il possibile incontro ad Istanbul fra Zelensky e Putin (con sul tavolo la proposta europea di tregua) e la riunione informale dei ministri degli esteri Nato ad Antalya. Venerdì una cinquantina di leader da tutto il continente si ritroveranno a Tirana – dove il premier Edi Rama ha appena ottenuto dagli elettori un nuovo mandato – per il sesto vertice della cosiddetta Comunità politica europea. E lunedì, a Bruxelles, è prevista la firma del partenariato su sicurezza e difesa fra l’Unione e la Gran Bretagna, primo tassello formale del riavvicinamento reciproco degli ultimi mesi.

Sempre a livello Ue, la Commissione ha reso noto che, alla scadenza prevista del 30 aprile, 16 paesi (su 27) hanno manifestato l’intenzione di servirsi dell’esenzione ‘straordinaria’ dalle regole del Patto di Stabilità che dovrebbe facilitare l’aumento delle spese per la difesa nei prossimi quattro anni. Fra i 16 si trovano la Germania (che ha perfino modificato la Legge fondamentale per poterlo fare), molti paesi dell’Europa nordica e centro-orientale, e pure partner tradizionalmente “frugali” come Olanda e Danimarca – ma non Francia e Italia (la Spagna si è data tempo fino a luglio per decidere).

Su iniziativa della presidenza di turno polacca, inoltre, sono state avviate le prime consultazioni informali sull’ipotesi – complementare rispetto a quelle già presentate dalla Commissione nel tanto discusso Libro Bianco – di creare una specie di banca europea per la difesa, delineata in un paper della think tank Bruegel: l’obiettivo sarebbe quello di trasferire ad un ente ad hoc – su base volontaria e al di fuori della cornice comunitaria - tanto il rischio fiscale quanto la gestione congiunta del finanziamento e dell’acquisizione di nuovi sistemi d’arma, coinvolgendo anche paesi come Gran Bretagna, Norvegia e perfino Svizzera.

In ambito Nato, infine, iniziano a filtrare informazioni sul possibile nuovo target di spesa da adottare all’ormai imminente summit dell’Aja, a fine giugno. Sembra infatti che si vada verso una combinazione fra due target distinti: il primo, più tradizionale, riguarderebbe appunto la spesa militare in rapporto al Pil, che salirebbe dal 2 per cento (raggiunto l’anno scorso come media alleata, ma non ancora da Italia, Spagna o Canada) al 3,5 per cento, oggi rispettato da appena una manciata di paesi. Il secondo, del tutto inedito, riguarderebbe invece la spesa per la ‘sicurezza’ in senso più ampio - coprendo gli investimenti in materia di cybersecurity e infrastrutture critiche (dai trasporti all’energia) – ed arriverebbe all’1,5 per cento del Pil.

Le consultazioni interalleate sono ancora in corso, beninteso, sia sulle cifre che sui tipi di spesa da includere, oltre che sulla scadenza temporale per il rispetto dei target (si parla del 2032). Ma è evidente che il nuovo dispositivo accontenterebbe sia le richieste dell’amministrazione Trump (che insiste per un 5 per cento complessivo) che le esigenze di altri alleati – Italia e Spagna comprese.

La difesa (dell’Ucraina e della stessa Europa) sta insomma diventando un cantiere fondamentale per la cooperazione transnazionale a “geometria variabile” – fra Ue, Nato, “volenterosi”, partner e aspiranti membri - imposta agli europei dall’attuale contesto strategico e dalle incertezze create dal ritorno di Trump.

Nonostante le ambizioni espresse mesi fa dal governo italiano, tuttavia, Roma appare piuttosto ai margini anche sui dossier dove avrebbe invece tutto l’interesse ad essere in prima fila. Il triangolo di Weimar allargato appare infatti sempre più come un esagono piuttosto irregolare, con Londra ormai allineata a Parigi, Berlino e Varsavia, e Roma invece molto defilata (perfino più di Madrid) pure fra i "volenterosi”.

L’esenzione delle spese per la difesa dal calcolo del deficit è stata da sempre una richiesta italiana - e l’idea della “banca” potrebbe limitare i rischi per il nostro rating – ma, di nuovo, l’Italia sembra soprattutto intenta a frenare, rinviare e condizionare; e anche in ambito Nato a mediare fra americani ed europei è soprattutto il segretario generale Mark Rutte. Divisa sia sull’Europa che sull’Ucraina, insomma, la coalizione guidata da Giorgia Meloni rischia - paradossalmente - di rendere l’Italia sempre meno rilevante.

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