Ancora una volta, i giudici smentiscono norme e politiche migratorie che ledono diritti fondamentali. Chi entra in Unione europea senza documenti insieme a minori di cui è affidatario non può essere accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
Ancora una volta, i giudici smentiscono norme e politiche in tema di immigrazione che ledono diritti fondamentali. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che è contraria al diritto dell'Unione una disposizione che sanziona penalmente come favoreggiamento dell'immigrazione clandestina la condotta di un cittadino straniero che entra irregolarmente in uno Stato Ue accompagnando minori di cui sia affidatario.
Il caso Kinsa
Nel 2019, una donna di origine congolese, all’aeroporto di Bologna, aveva esibito documenti falsi per sé e due minori, la figlia e la nipote di cui era affidataria, ed era stata arrestata con l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare (caso Kinsa). La donna aveva dichiarato di essere fuggita dal paese di origine per minacce di morte, e aveva portato con sé le due bambine. Poco tempo dopo, aveva presentato domanda di protezione internazionale.
Il tribunale di Bologna aveva sollevato la questione di costituzionalità riguardo alla norma sulle aggravanti del reato, e nel marzo 2022 la Corte Costituzionale ne aveva dichiarato l’illegittimità. La donna avrebbe potuto essere giudicata per favoreggiamento semplice. Ma il tribunale di Bologna aveva sospeso il giudizio e chiesto alla Corte di giustizia Ue di valutare se la normativa europea in tema di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare fosse compatibile con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La disciplina europea (direttiva Ue 2002/90 e decisione quadro del Consiglio europeo del 2002) impone di punire il favoreggiamento, ma «ciascuno Stato membro può decidere di non adottare sanzioni» per chi agevoli l’entrata dello straniero al solo fine di «prestare assistenza umanitaria alla persona interessata».
In Italia la normativa Ue è stata attuata dall’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione senza alcuna eccezione umanitaria.
La decisione della Corte Ue
Secondo la Corte, la regolamentazione europea va interpretata nel senso che chi entri illegalmente in uno Stato Ue, portando con sé minori di cui sia effettivamente affidatario, non commette favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma esercita la responsabilità di garantire loro protezione e cure. Un’interpretazione diversa – dice la Corte - comprometterebbe il diritto al rispetto della vita familiare e i diritti fondamentali dei minori, sanciti dalla Carta.
Inoltre, continua la Corte, la donna congolese aveva presentato una domanda di protezione internazionale, e non poteva essere considerata “clandestina” fino all’eventuale rigetto di tale domanda; né poteva incorrere in sanzioni penali a causa del suo proprio ingresso illegale o per aver portato con sé minori di cui era effettivamente affidataria. «Il diritto dell'Unione», concludono i giudici, «osta quindi a una normativa nazionale che sanzioni penalmente tale condotta».
Dunque, l’Italia non avrebbe dovuto perseguire la donna congolese protagonista del caso Kinsa.
Gli impatti della decisione
La sentenza ribadisce la tutela del diritto d’asilo e definisce i confini entro cui lo Stato può agire contro chi fa ingresso irregolare, specie se sono coinvolti minori e relazioni di accudimento. Essa non solo vincola i tribunali nazionali, che vi si dovranno conformare in casi simili, ma incide pure sulle politiche dei governi nazionali: la linea dura nel contrasto all’immigrazione incontra paletti invalicabili nei diritti e nelle libertà fondamentali, che possono essere limitati nel rispetto del loro contenuto essenziale, come recita l’art. 52 della Carta, ma non travolti da politiche securitarie dell’immigrazione.
La decisione smonta anche l’idea che il rispetto dei diritti dei migranti non debba ostacolare la gestione dell’immigrazione da parte dei governi nazionali. Idea che l’Italia, insieme alla Danimarca, ha formulato nella lettera inviata il 22 maggio scorso alla Corte europea dei diritti umani, accusandola di un’interpretazione troppo ampia di tali diritti.
Il messaggio della Corte di giustizia Ue è forte e chiaro. E sarà bene che gli Stati Ue ne tengano conto.
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