Le elezioni svedesi sono state ignorate nel dibattito preelettorale. La lettura dei media ha probabilmente contribuito ad alimentare il disinteresse della politica.

E’ prevalso infatti un messaggio omologante. L’uscita di scena del partito socialdemocratico, da decenni quasi sempre al potere, e la probabile costituzione di una coalizione di centro-destra, trascinata dal successo di una formazione populista e nazionalista di destra radicale (ma denominata “Democratici Svedesi”), sono state viste come una vicenda che una volta tanto avvicina il Nord e il Sud d’Europa. 

I partiti principali del nostro centro-destra (Lega e FdI) vi hanno potuto trovare una conferma del loro vento in poppa.

Il Pd ha potuto rassicurarsi: i suoi problemi non sono poi molto diversi da quelli dei tanto mitizzati partiti socialisti nordici.

In realtà non è così. La rapida lettura omologante mette in luce somiglianze vere: la sensibilità dell’elettorato popolare alla questione dell’immigrazione e i timori che ne discendono per la sicurezza e per la disponibilità delle risorse del welfare; la frattura tra città e campagna, tra aree urbane centrali e aree periferiche, dove la nuova destra si rafforza (molto evidente nella regione di Stoccolma).

Come è accaduto altrove, e anche da noi, il tema dell’immigrazione è stato usato da imprenditori politici spregiudicati come leva per attrarre il consenso dei salariati e dei lavoratori autonomi.

Rispetto a queste indubbie somiglianze, c’è però una differenza fondamentale che non va trascurata.

I partiti di sinistra scandinavi sono riusciti a contrastare meglio che altrove tra le democrazie avanzate la sfida delle disuguaglianze.

Ci sono riusciti riorganizzando il welfare (e non ridimensionandolo), mantenendo rapporti più stretti con i sindacati e valorizzando le relazioni industriali anche per la crescita della produttività, puntando a politiche per l’innovazione che hanno contribuito a rendere un’incisiva redistribuzione più sostenibile.

In questo quadro il partito socialdemocratico svedese resta al di sopra del 30 per cento, è lievemente cresciuto e ha ancora una forte presenza nell’elettorato popolare (circa doppia di quella del Pd). Certo le vicende politiche recenti mostrano che tutto ciò non basta; che è necessario dare risposte non solo sul piano socioeconomico ma anche su quello culturale.  

Su questo problema anche i socialdemocratici svedesi sono in evidente difficoltà. Ma tutto ciò non dovrebbe essere rassicurante per il Pd.

Dovrebbe invece far meglio percepire che esso si trova di fronte a una sfida più difficile perché doppia: quella delle disuguaglianze, che non ha ancora affrontato efficacemente, e quella della rassicurazione culturale per la quale una risposta che funzioni non è stata ancora trovata, non solo da noi.

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