Ladri di biciclette usciva nelle sale il 24 novembre 1948. Vuol dire sette mesi dopo il successo di De Gasperi sul Fronte Popolare e a quattro mesi dall’attentato a Togliatti. Tempi duri per l’Italia e per una democrazia riconquistata col sangue. Il soggetto del film era di Cesare Zavattini, la regia di Vittorio De Sica.

Il film

La trama è quella. Antonio Ricci, disoccupato, trova impiego come attacchino comunale, sola condizione avere una bicicletta per trasportare scala, colla e manifesti. La sua, di bicicletta, è al Monte di pietà e per riscattarla alla moglie tocca impegnare le lenzuola.

Durante il primo giorno di lavoro quel mezzo da cui tutto dipende gli viene rubato, lui denuncia il furto capendo subito che non saranno le “guardie” a riportargliela. Inizia a cercarla da sé, si fa aiutare da un compagno di partito e dai suoi colleghi netturbini. Si porta appresso anche il figlio che lavora a un distributore di benzina. Bruno ha nove anni, nella sequenza più famosa corre in soccorso al padre dopo che quello, disperato, ha cercato di rubare la bicicletta di un altro. Alla fine, in una Roma al tramonto, padre e figlio se ne vanno sotto gli sguardi di una piccola folla impietosita dal pianto del piccolo. Puro neorealismo, con un giovanissimo Sergio Leone a indossare la tonaca del seminarista.

In una biografia uscita da poco, Woody Allen racconta la premessa che applicava a ogni corteggiamento, chiedere alla futura fidanzata se lei quel capolavoro lo avesse mai visto. Perché è un film, certo. Ma dietro all’opera, i visi del popolo, la scrittura, c’era quella Italia lì.

Dove il Monte di pietà entrava nei discorsi all’ora della cena, quando c’era. La cena.

Nuovi ladri di biciclette

Sono passati settantatré anni. Un paio di giorni fa, a Trieste, un passante ha notato una bicicletta abbandonata in mezzo ai cespugli sul lungomare del centro.

Era in buone condizioni, l’ha recuperata e portata a una stazione dei carabinieri, proprio lì vicino. I militari hanno interrogato gli uffici di polizia della provincia cercando tra le denunce di furto più recenti una descrizione che corrispondesse al mezzo ritrovato. Alla fine ci sono riusciti.

Era stato rubato a un giovane pakistano giunto in Italia da un paio d’anni. Aveva un impiego come rider, uno dei mille con lo zaino a cubo sulle spalle a consegnare pizze e pasti in giro per la città. La bicicletta gli era stata trafugata proprio davanti a un ristorante del centro nei minuti impiegati a riempire la sacca per la nuova consegna.

Aveva provato anche lui, come Antonio, a inseguire il ladro a piedi e pure lui non c’era riuscito perché chi pedala andava e va più veloce di chi lo rincorre a piedi. A lui comunque la bicicletta gliel’hanno restituita ed è stato un regalo mica da poco perché dal giorno del furto era rimasto senza il mezzo per muoversi e senza un lavoro per mangiare.

Possiamo dire che ha avuto fortuna? Forse sì, a modo suo l’ha avuta. Con una sola aggiunta. Che settant’anni dopo a lui non è toccato in sorte di vedere o rivedere il film. Lui ha girato il remake.

E non era più neanche neorealismo. Era il realismo di un’Italia che dimenticandosi del suo passato è condannata a riviverlo.

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