Se sia meglio “tirare a campare” piuttosto che “tirare le cuoia” è un vecchio argomento politico che si trascina da un bel po’ d’anni. Precisamente dal 1991, quando Ciriaco De Mita accusò Giulio Andreotti, per l’appunto, di barcamenarsi un po’ troppo e l’altro gli rispose che ad essere eccessivamente avventurosi si rischiava l’osso del collo. Quelle due espressioni sopravvissero all’uno e all’altro (e anche all’intera Dc), e di tanto in tanto ritornano attuali. Tanto più oggi, a proposito di Mario Draghi, della sua maggioranza e di tutte le sue fronde.

Il dilemma mescola e aggroviglia scelte fondamentali, propensioni caratteriali, tecniche di governo e concrete possibilità di manovra. E oggi sembra gonfiarsi della differenza che corre tra la drammaticità dei problemi che abbiamo di fronte e la disinvoltura che la politica certe volte riserva a sé stessa. Fino a porre appunto governo e maggioranza davanti al bivio tra un provvisorio accomodamento e un definitivo show down. 

Il punto è che i due estremi coincidono, e che in genere chi troppo tira a campare finisce a sua volta poi per tirare le cuoia. Poiché il vivere alla giornata non è mai eterno, e un sistema immobile è facile che a un certo punto non abbia modo di riscuotersi dalle sue difficoltà. Ma è anche vero, simmetricamente, che navigare in acque tempestose, con troppa disinvoltura e quasi incuranti della rotta e dei pericoli, implica un grado di rischio tale da far rimpiangere la calma piatta della pigrizia e dell’accomodamento.

La nostra tradizione politica, è noto, annovera un gran numero di esempi dell’uno e dell’altro vizio. E simmetricamente, dell’una e dell’altra virtù. La differenza, come sovente accade, sta tutta nella misura. Si può e si deve accettare un certo grado di logoramento per evitare di dar fuoco alle polveri con troppo impeto. Ma quando si oltrepassa quella sottile linea rossa che separa la stanchezza dalla paralisi diventa invece opportuno alzare la soglia di rischio anche a spese della propria tranquillità politica.

Draghi si trova oggi precisamente a quel bivio. Può cercare di salvaguardare la sua figura politicamente aliena mettendo in conto la disapprovazione dei suoi cari (si fa per dire) oppure può cercare di puntellare l’equilibrio della sua compagine mettendo a rischio quel che resta della sua aura. Ognuno di questi percorsi è segnato da trappole, insidie, incognite. Nonché da un alto, altissimo grado di probabilità di risultare incompreso. Cosa che peraltro negli ultimi tempi gli è già successa, e a cui deve aver fatto un po’ il callo.

Il punto è che quando ci si trova al bivio tra il tirare a campare e il tirare le cuoia (metaforicamente, s’intende) vuol dire che si è finiti vicino alla linea di fuorigioco. E a quel punto solo il guizzo e l’intuizione – e non un manuale di buona politica – possono salvare il leader dal rischio di essere bersagliato da una parte e magari anche dall’altra. Così ora il governo sembra chiamato a scegliere tra la padella e la brace. Quanto ai partiti che lo “sostengono”, la gran parte di essi continua a rosolare, un po’ in padella e un po’ sulla brace.  

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