È giusto dire ai figli “Se vuoi, puoi”? È giusto raccontargli che possono diventare quello che vogliono, se lo desiderano veramente? La domanda affiora spesso nelle discussioni private e pubbliche. Affiora con regolarità, soprattutto negli ultimi tempi.

I genitori non hanno mai mancato di dire ai figli, in modo più o meno velato, cosa sarà o cosa dovrebbe essere del loro futuro. Questo accade in ogni epoca e contesto, e non sempre con toni concilianti.

Accade per scelta del genitore, che vuole farsi sentire, ma accade anche per errore, come se fosse inevitabile, una frase che scappa, uno sguardo troppo eloquente rivolto alla figlia che cerca la sua strada.

Accade in un generico mondo antico, oppure in un mondo contemporaneo e reazionario, quando il padre, figura torreggiante e grave, dice all’erede maschio che il suo destino è scritto negli affari di famiglia e nella classe sociale, oppure, alla figlia femmina, nel mero fatto di essere nata femmina.

Accade in epoche e contesti meno reazionari, ma pragmatici, quando i figli vengono invitati a fare scelte realistiche: suggerire il percorso di studi che permette di trovare facilmente un lavoro, consigliare di non sprecare le energie coltivando passioni che non hanno un’applicazione concreta.

Accade anche quando i genitori, in questo caso figure terribili e senza tempo, umiliano i figli facendo capire loro che non potranno mai essere quello che desiderano.

Mai, in nessun caso. Neanche col talento, l’impegno e la fortuna. Accade, non da ultimo, quando i genitori sottilmente spronano i figli a diventare ciò che loro avrebbero desiderato essere, senza mai riuscirci: i figli come prolungamento del sé.

Alla luce di questa carrellata, certo non esaustiva, dire a una figlia o a un figlio “Se vuoi, puoi” appare tutto sommato inoffensivo. Eppure la frase è criticata da tempo, in vari modi e da più parti. L’aspetto interessante è che sembra avere a che fare con l’educazione della prole, ma in realtà c’entra con la nostra idea di società.

Una delle ragioni per cui mi piace riflettere sui figli è che quando parliamo di educazione in realtà parliamo di un’idea di futuro più generale. Non solo, emettiamo un giudizio sul passato. Questo va oltre l’essere genitori. Tant’è vero che argomenti del genere suscitano reazioni anche in chi di figli non ne ha.

“Se vuoi, puoi” ha più significati, è una frase stratificata. Il primo significato riguarda l’idea che un figlio non debba farsi schiacciare dagli schemi esistenti e dai pregiudizi.

Esempio facile: una figlia che vuole svolgere una professione tradizionalmente maschile. Su questo significato, se non si è parecchio conservatori, si ha poco da obiettare. Il volere e il potere, qui, hanno a che fare con un’idea di diritto d’accesso.

Il secondo significato è invece questo: “Figlio, se hai un sogno nel cassetto, qualsiasi sia, anche slegato da un talento, non devi soffocarlo, ma devi coltivarlo, dargli spazio nella tua immaginazione e nei tuoi atti; da questo movimento dello spirito nasceranno delle possibilità.”

Un processo, senza dubbio, dispendioso: dare spazio a una passione, se non c’è un talento, costa tempo e soldi. Non a caso il secondo significato piace soprattutto ai genitori che sanno di poter garantire ai figli la libertà di realizzarsi in virtù di una serie di privilegi sociali, economici e culturali. Il significato naturalmente è criticato da chi sa che non tutti hanno questi privilegi.

Il terzo significato è il più materiale e ha a che fare con l’idea che il talento e l’impegno possano aprire molte porte. Immaginiamo una figlia che abbia, in effetti, un talento cristallino. Chi può fermarla, se ci mette l’anima? Speriamo nessuno, ma nella realtà sappiamo che la fortuna, e altre distorsioni al di fuori del nostro controllo, giocano un ruolo fondamentale nel nostro successo. Più successo sogniamo di avere, più gli elementi incontrollabili saranno determinanti.

Le storie dei grandi trionfi sono spesso ricche di aneddoti che illustrano il ruolo del caso. Anche se spesso chi trionfa preferisce pensare di essere il solo artefice della propria gloria.

Poi c’è un problema morale. L’ossessione per il successo, necessaria anche in presenza di talento e fortuna, può portare a comportamenti che danneggiano la nostra serenità e il nostro sistema di valori. È chiaro, a questo punto, che la frase “se vuoi, puoi” ha una sua pericolosità.

Cosa ci resta da dire, dunque, ai figli? Niente? Va di moda, da sempre, il genitore che dice “Mi basta che tu sia contento”. Una frase semplice, pulita. E finemente angosciante, con quel tono mansueto che carica i figli di una strana responsabilità.

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