La scuola continua a essere oggetto di controversie giudiziarie. E se finora i tribunali si erano occupati solo delle chiusure disposte da ordinanze regionali, stavolta l’esame dei magistrati ha riguardato decreti del presidente del Consiglio. Due pronunce del Tar del Lazio, del 26 marzo scorso, dispongono che siano riviste le norme in tema di scuola, contenute da ultimo nel Dpcm del 2 marzo 2021, poiché carenti di istruttoria e prive di sufficienti dati scientifici a supporto.

Le impugnative avevano dapprima riguardato il Dpcm del 14 gennaio 2021 e poi il Dpcm del 2 marzo 2021, che ha introdotto una disciplina ancora più limitativa, sancendo la sospensione delle attività didattiche in presenza delle scuole di ogni ordine e grado – dunque, anche le scuole materne, le elementari e la prima media, fino a quel momento rimaste sempre in presenza – nelle cosiddette zone rosse.

I ricorrenti hanno evidenziato che «la scuola non dovrebbe essere considerata quale luogo privilegiato di contagio», producendo studi, report sui dati in ambito scolastico, relazioni scientifiche al fine di dimostrare che «non esistono evidenze scientifiche solide e incontrovertibili circa il fatto (i) che il contagio avvenuto in classe influisca sull’andamento generale del contagio, (ii) che l’aumento del contagio tra i soggetti in età scolastica sia legato all’apertura delle scuole, (iii) che la variante inglese si diffonda maggiormente nelle sole fasce d’età scolastiche, (iv) che le diverse varianti circolanti nel Paese siano resistenti ai vaccini in uso in Italia».

I ricorrenti hanno esibito «ricerche che evidenziano come l’interruzione della didattica in presenza abbia rappresentato e rappresenti un moltiplicatore delle diseguaglianze discendenti da ostacoli di ordine sociale ed economico»; nonché pubblicazioni che «sembrerebbero comprovare, rispetto all’inizio della pandemia (marzo 2020), un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri di adolescenti per gravi disordini alimentari e tentativi di suicidio (…), quale effetto del progressivo isolamento sociale indotto dalle misure di contenimento del contagio».

Peraltro, nonostante il Dpcm del 2 marzo scorso richiami a fondamento alcuni verbali del Comitato Tecnico Scientifico (Cts), nonché osservazioni tecniche inviate della Conferenza delle regioni, «dai predetti documenti non emergono indicazioni specifiche ostative alla riapertura delle scuole».  A ciò si aggiunga che il Cts «non sembra avere valutato la possibilità, nelle zone rosse, di disporre la sospensione delle attività didattiche solo per aree territoriali circoscritte, in ragione del possibile andamento diversificato dell’epidemia nella regione».

Insomma, le analisi «non dimostrano una situazione di aumentata pericolosità a livello di aumento di contagi, diffusione di focolai scolastici, trasmissione secondaria in ambito scolastico, aumentato rischio per individui in età scolare di trasmettere la cd variante inglese rispetto alla popolazione».

La richiesta al governo

Pertanto, il Tar ha ritenuto che le previsioni del Dpcm del 2 marzo in tema di scuola non appaiono supportate «da una adeguata istruttoria» e ha ordinato «alla presidenza del Consiglio dei ministri di riesaminare le misure impugnate adottando, all’esito del riesame, un provvedimento specificamente motivato».

In altri termini, occorrerà riscrivere le regole circa le scuole, fornendo adeguate giustificazioni delle relative decisioni alla luce dei documenti scientifici prodotti dai ricorrenti, e si dovrà provvedere prima che il Dpcm perda efficacia: a tal fine, il tribunale ha ritenuto congruo «assegnare il termine del 2 aprile 2021».

Le decisioni del Tar Lazio sono in continuità con quelle dei giudici che, nei mesi scorsi, avevano sospeso o annullato ordinanze di presidenti di regione carenti di istruttoria e solide motivazioni. Non può farsi prevalere il principio di precauzione senza un fondamento idoneo a giustificare restrizioni.

Il diritto alla salute non è “tiranno” rispetto ad altri, ma va bilanciato con essi. Pertanto, qualora siano coinvolti interessi diversi, è doverosa una loro ponderazione per trovare la soluzione che comporti il sacrificio minore, in base a criteri di proporzionalità, giustificando la decisione su dati ed evidenze trasparenti: questo è ciò che, finalmente, un tribunale ha rilevato anche riguardo a norme sancite a livello centrale.

Le regole in tema di scuola andranno riviste. E chissà se si riuscirà a fare chiarezza anche tra competenze centrali e regionali su un tema circa il quale, dopo un anno, non si è ancora posta l’attenzione che servirebbe.

Le pronunce del Tar rappresentano un risultato importante. In tema di scuola, e non solo, non può procedersi a tentoni: servono dati e motivazioni a fondamento. Dopo un anno di pandemia, questa è tra le lezioni più importanti.

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