La richiesta di Vladimir Putin di pagare il gas in rubli tramite conti su Gazprombank sembra aver avuto tre primi risultati, due di breve periodo e uno di medio. Nel breve: il rublo si è apprezzato un poco rispetto all’euro (+3,5 per cento) e il prezzo del gas è salito ancora (da poco più di 120 euro per megawatt/ora a 121.8), forse perché queste ulteriori rigidità per gli acquirenti sono costi aggiuntivi.

Nel medio periodo la mossa di Putin ha chiarito che l’Unione europea deve decidere: questa guerra continuerà fino a quanto continuerà la dipendenza dell’Ue dall’acquisto di gas e della Russia dalla sua vendita.

L’Ue può sottoporre a sanzioni Gazprombank, esentata proprio per consentire l’acquisto di gas, e il rapporto si rompe in un minuto, senza aspettare di cercare fornitori alternativi.

Perché Putin, con il suo ultimatum, ci ha indicato il suo triplo punto debole: ha bisogno di vendere gas, ha bisogno di farlo attraverso le banche russe, ha bisogno che la vendita comporti un ingresso di valuta pregiata (euro o dollari) direttamente in Russia senza che resti su conti di banche private o centrali sottoposte ai limiti delle sanzioni.

Basta che uno di questi tre requisiti venga meno, e Putin non avrà più le risorse – 350 milioni di dollari al giorno, secondo le stime – che gli servono per finanziare l’aggressione all’Ucraina.

Nel decreto annunciato giovedì, Putin vuole costringere le compagnie occidentali a questo schema: versare euro o dollari sui conti Gazprombank, convertirli in rubli e poi con i rubli saldare i contratti di fornitura del gas. Questo complesso giro di valute trasforma Gazprombank in una sorta di banca centrale parallela a quella di Russia, i cui asset sono congelati all’estero.

Questo significa che un pagamento da una banca occidentale a Gazprom regolato su conti fuori dalla Russia rischia di rimanere imbrigliato nelle maglie delle sanzioni, con la Russia che si trova ad avere una disponibilità teorica di rubli o euro fuori dai confini ai quali però non può accedere (per effetto delle sanzioni senza precedenti sulla sua banca centrale).

Il gioco del pollo

Nel “gioco del pollo” in corso tra Ue e Russia – chi si cede per primo perde, chi si cede troppo tardi muore – si apre così una opzione per i paesi europei. Andare a vedere il bluff.

Se l’Ue sanzionasse Gazprombank, come ha fatto con Vtp e altri istituti russi espulsi dal sistema Swift e quindi esclusi dalla finanza internazionale, a quel punto Putin dovrebbe scegliere: accettare di ricevere i soldi del gas su conti esteri, quindi di fatto congelati fino a una tregua o alla fine della guerra, oppure interrompere le forniture e perdere quei ricavi non solo nell’immediato, ma per sempre.  

Non ci sono possibilità di trovare alternative al gas russo in tempi utili ai negoziati oggi in corso, per il futuro lo sganciamento da Mosca è probabile e avviato. Ma nell’immediato le opzioni dell’Ue sono di sfidare Putin al suo gioco del gas, o farsi spaventare e continuare a finanziare la sua guerra.

Finora abbiamo scelto di non rischiare, Bruxelles (e Parigi, Berlino e Roma) ha scelto di lasciare soli gli Stati Uniti anche con l’embargo petrolifero deciso a inizio marzo.

Come dopo l’annessione della Crimea nel 2014, l’Unione si è opposta a sanzioni sul settore dell’energia, nella convinzione che Putin le avrebbe immediatamente ribaltate sui prezzi, facendole pagare alle famiglie europee.

Diventare dipendenti dalla Russia sul gas è stata una scelta: tra 2013 e 2018 la produzione di gas europea è scesa del 31 per cento, mentre il consumo aumentava del 4 per cento, soltanto Danimarca, Olanda e Romania producono abbastanza gas per i propri consumi domestici.

Nel 2013 l’Ue produceva il 35 per cento del gas che consumava, nel 2018 il 23. Negli stessi anni, la Germania ha deciso l’uscita dal nucleare e quella graduale dal carbone. Il prezzo occulto della transizione ecologica è stato consegnarci a Putin.

I precedenti

Eppure già due volte Putin aveva tagliato il gas all’Europa proprio come conseguenza e ritorsione per le spinte democratizzanti dell’Ucraina che non voleva rimanere sotto il gioco di governi fantoccio controllati da Mosca.

Dopo la “rivoluzione arancione” del 2005 e poi ancora nel 2009 la Russia, tra il 5 e il 20 gennaio, ufficialmente per un contenzioso tra la russa Gazprom e l’ucraina Naftogaz. All’epoca l’Ue ha reagito soltanto con lo sviluppo di un sistema di allerta in caso di interruzione delle forniture. Un po’ poco.

Adesso il gioco del pollo può portare a esiti diversi. La resistenza ucraina ha dimostrato che i rapporti di forza sulla carta con Mosca possono essere molto diversi da quelli reali, sul campo. E’ ora che anche l’Ue faccia la sua parte.

Ecco perché non bisogna cedere sul pagamento del gas in rubli, ma anzi è arrivato il momento di sanzionare Gazprombank.

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