In un paese in cui tre quarti delle famiglie vive in una casa di proprietà non sorprende che agevolazioni fiscali legate alla proprietà immobiliare, come il recente ecobonus 110 per cento, ricevano un plauso pressoché unanime mentre, al contrario, imposte come l’Imu siano tra le più detestate. Nel complesso, di che cifre si tratta?

Il gettito di Imu e Tasi è 21 miliardi, mentre le detrazioni per spese di ristrutturazione e di riqualificazione energetica assommano a 8,4 miliardi (di cui solo 1,7 finalizzati al risparmio energetico) ai quali si deve aggiungere 1 miliardo di detrazioni per interessi sui mutui (dati 2018).

Insomma, attraverso questi sgravi il sistema tributario restituisce ai proprietari di immobili quasi metà del gettito di Imu e Tasi.

Per di più mentre il gettito delle due imposte è stabile negli ultimi anni, l’ammontare delle detrazioni per ristrutturazioni e risparmio energetico si è più che triplicato in dieci anni (era 2,6 miliardi nel 2008). Ed è chiaramente destinato a crescere in futuro.

I dati del 2018, infatti, incorporano per lo più detrazioni al 50 per cento o al 65 per cento della spesa fruibili in dieci anni, mentre le misure introdotte nell’ultimo anno sono molto più generose: il bonus facciate, 90 per cento della spesa in dieci anni, e l’ecobonus, 110 per cento della spesa in cinque anni.     

Le detrazioni beneficiano in misura sproporzionata i più ricchi: oltre la metà di quelle per ristrutturazioni e risparmio energetico sono appannaggio del 15 per cento più ricco, i contribuenti con oltre 100.000 euro di reddito (l’1 per cento del totale dei contribuenti) usufruiscono del 10 per cento delle detrazioni. 

Le principali motivazioni di queste misure sono il sostegno al settore delle costruzioni, favorendo allo stesso tempo l’emersione del sommerso, e l’incentivo al rinnovamento del patrimonio edilizio del Paese. Incentivi per queste finalità sono giustificati ma dovrebbero essere limitati nel tempo e non divenire un elemento strutturale.

La detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta nel 1998 come misura temporanea (con un’aliquota al 41 per cento).

Da allora è stata più volte prorogata, poi resa più generosa nella sua misura e permanente; nel tempo ad essa se ne sono aggiunte altre (come nel 2013 quella per l’acquisto di mobili). Il sostegno a un settore che dura da più di vent’anni con un’intensità crescente ha effetti distorsivi ovvi (perché questo e non altri settori?).

Contrastare l’evasione fiscale è certamente importante ma non a qualsiasi costo. Se si esenta totalmente dall’imposta un tipo di reddito l’emersione sarà totale, ma non è proprio quello che vogliamo. L’agevolazione va costruita in modo da evitare che il costo in termini di gettito per il fisco sia superiore ai benefici.

Nel caso dell’ecobonus al 110 per cento, viene posto a carico dell’erario un onere addirittura superiore al costo degli interventi, annullando il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti: per entrambi sarà conveniente dichiarare di aver sostenuto la spesa massima agevolabile. In sanità, in casi del genere (indicati come fenomeno del terzo pagante) per lo meno si richiede il pagamento di un ticket.

La seconda motivazione è favorire la riqualificazione del patrimonio edilizio. Agevolazioni come quelle per l’adozione di misure antisismiche e per l’efficienza energetica rispondono certamente a un interesse pubblico. Se miglioro l’efficienza energetica della mia casa ne traggo un vantaggio personale (risparmio sulla bolletta) ma allo stesso tempo contribuisco a ridurre l’inquinamento producendo un vantaggio per l’intera collettività.

Nel gergo economico, la mia spesa genera una esternalità positiva che dovrebbe essere sussidiata. Il problema è di nuovo nella misura: il sussidio deve essere proporzionato al valore dell’esternalità e non coprire i benefici privati. Difficile pensare che la generosità dell’ecobonus possa superare il test di questo criterio.

Il bonus facciate è un esempio istruttivo. Si tratta della detrazione del 90 per cento delle spese sostenute per il rifacimento delle facciate degli edifici, senza limiti di spesa, introdotta dalla legge di bilancio per il 2020. Il governo, nel presentare la proposta, ha dichiarato di ispirarsi alla legge Malraux (da André Malraux, ministro della cultura), approvata in Francia nel 1962.

Un paragone un po’ ardito. La legge Malraux permetteva la creazione di aree da salvaguardare «che presentino caratteristiche storiche, estetiche o suscettibili di giustificare la conservazione, il restauro e lo sviluppo di tutto o parte di un complesso di edifici» e consentiva la deducibilità dal reddito dell’intera spesa sostenuta per il restauro (non solo delle facciate).

Le aree venivano individuate insieme dallo Stato e dai Comuni interessati sulla base di piani urbanistici dettagliati. Nel nostro bonus facciate, rientrano nell’agevolazione praticamente tutte le aree edificate, senza alcun condizionamento a piani urbanistici, il trionfo del “fai da te” senza priorità.

A proposito di facciate, oggi in Francia il regime è un po’ diverso da quello italiano. A Parigi i proprietari devono rinnovare le facciate almeno ogni dieci anni, con una detrazione del 30 per cento delle spese per l’efficienza energetica. In caso di mancato adempimento, i lavori vengono svolti dal comune e il proprietario dovrà rimborsare le spese sostenute e pagare una multa.

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