La lettera degli economisti che Domani ha pubblicato qualche giorno fa mi suscita alcune riflessioni che vorrei condividere con i nostri lettori. Prima di tutto, le carte in tavola. Sono un ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni e un paio di anni fa ho fatto parte del gruppo di lavoro che fu incaricato dall’allora ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli di predisporre le analisi costi-benefici di alcune “grandi opere”.

Anche in quell’occasione non mancarono le polemiche. Eravamo tutti maschi e settentrionali. Un liberista, chi scrive, quello che l’ex ministro Lunardi definì un “comunista-liberista” e altri tre membri del gruppo di valutazione con simpatie politiche a sinistra, in un paio di casi molto a sinistra. Nessuno politicamente vicino al ministro pro-tempore.

Le prime bordate arrivarono dal deputato piddino Davide Gariglio che predispose un dossier sui membri del gruppo di valutazione. L’attacco preventivo si fermò lì per riprendere qualche mese dopo con violenza quando furono pubblicate le valutazioni. Fummo accusati di essere al servizio della “lobby della gomma” e, nientemeno, il Commissario straordinario del governo per la Torino – Lione affermò che la nostra analisi “poneva le premesse per gassificare la Valsusa”.

Con l’eccezione del Fatto Quotidiano e del Manifesto, tutti i mezzi di informazione, tutti i partiti e tutto il mondo accademico (tranne il solo Roberto Perotti), contestarono compatti i risultati ottenuti. La trasparenza che i membri del gruppo di lavoro posero come condizione per accettare l’incarico non portò a un dibattito davvero informato. Prevalsero logiche di schieramento politico.

Solo in un secondo momento, calato il clamore mediatico, ebbe luogo all’interno della Società italiana di politica dei trasporti un confronto pacato sulla metodologia al termine del quale venne unanimemente riconosciuta la correttezza dell’approccio adottato purtroppo senza alcuna eco sui giornali. La strumentalità delle critiche pubbliche è testimoniata anche dal fatto che nessuna obiezione venne sollevata nei due casi (sui cinque esaminati) per i quali l’esito della valutazione fu positivo.

Nessuno valuta

D’altra parte, in quale altro caso sono mai state poste all’attenzione dell’opinione pubblica criticità metodologiche di valutazioni di investimenti pubblici? Dobbiamo supporre che fossero state sempre tutte impeccabili? O forse è più verosimile che a fare problema non fu il metodo ma il fatto che, dopo svariati decenni, venissero detti anche alcuni “no” supportati da valutazioni quantitative.

Analoga vicenda ebbe luogo quarant’anni prima, a metà degli anni Ottanta, quando Enzo Grilli allora alla Banca Mondiale venne chiamato in Italia dal Ministro del Bilancio, Giorgio La Malfa, a dirigere il nucleo di valutazione per gli investimenti pubblici. Anche all’epoca i “no” espressi dai tecnici non vennero bene accolti dai decisori politici e, dopo un paio d’anni, l’esperienza arrivò al capolinea.

È stato legittimamente posto il tema di un potenziale conflitto di interesse di chi - Carlo Stagnaro, amico di chi scrive - riceve finanziamenti per attività di ricerca di cui non è nota l’origine. Non pare esservi stata però altrettanta attenzione da parte di chi ha sollevato il problema di fronte a un caso, e non è il solo, nel quale il conflitto sembra essere accertato e non ipotetico.

Ci riferiamo alle valutazioni dei progetti ferroviari, anche quelli contenuti nel PNRR, affidate alle Ferrovie dello Stato. E qualcuno si è mai posto il problema di valutare il potenziale conflitto di interessi di ricercatori degli atenei che fanno parte dell’Alleanza delle Università per lo sviluppo delle linee ad alta velocità promossa da UIC, l'associazione che promuove gli interessi delle imprese ferroviarie?

Negli ultimi trenta anni il settore del trasporto su ferro è costato ai contribuenti italiani più di quattrocento miliardi. Quali evidenze sono state fornite per mostrare che le risorse sono state impiegate in modo efficiente e quali siano stati gli effetti distributivi? E negli altri settori?

L'inclinazione largamente preminente negli scorsi decenni e che accomuna più o meno tutti gli schieramenti politici sembra essere stata non avversa ma piuttosto a favore della spesa pubblica. E forse non è un dettaglio trascurabile il fatto che sia di origine statale la parte largamente maggioritaria delle risorse destinate alla ricerca accademica.

In questo contesto la pregiudiziale antiliberista ha tutte le sembianze di un eccesso di zelo.

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