I mafiosi votano, oramai lo sanno tutti. Soprattutto la ‘ndrangheta che ha dimostrato di saper indirizzare le preferenze in Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, come i fatti dell’ultimo decennio hanno ampiamente dimostrato. E dunque bisogna scoraggiare in ogni modo questo voto nelle imminenti elezioni comunali di Milano, Bologna, Roma. Nessuno si può chiamare fuori. È un problema che riguarda tutti. Per evidenti ragioni la Calabria, di cui pochi s’occupano in tempi normali, acquista in questa tornata elettorale un significato particolare perché chi vincerà le elezioni gestirà i soldi, e sono davvero tanti!, in arrivo dall’Europa. Non è secondaria, dunque, la qualità degli eletti.

Qui, più che altrove, la politica è tutto, decide tutto, persino le sorti individuali e la vita concreta delle persone, perché la spesa pubblica è stata la greppia usata per ingabbiare la società civile, ha sopito le spinte di cambiamento e ha governato con l’ausilio anche della corruzione processi sociali e carriere personali avendo costruito nel corso degli anni un sistema diffuso di illegalità e un blocco di interessi diffusi sociali, economici, politici che si frammischiavano con la ‘ndrangheta.

È del tutto evidente che qui c’è un grande problema di classi dirigenti e di personale politico. Intendiamoci bene: la Calabria non è un’eccezione; i processi che si manifestano in questo territorio accadono, seppure diversamente, anche altrove. La crisi della classe dirigente è una crisi nazionale, come dimostra l’eccezionalità del governo Draghi, e in Calabria è amplificata e complicata per la storia recente della regione. A maggior ragione è molto più determinante ed urgente la selezione delle classi dirigenti politiche stante la crisi permanente dei partiti e la deriva dei Cinque stelle.

Democrazia atrofizzata

Tutti i partiti da tempo non hanno una reale vita democratica. Il Pd è da anni commissariato a livello regionale e a livello provinciale (3 commissari provinciali su 5 province). Il partito che si dice democratico ha un processo in apparenza inarrestabile di verticalizzazione delle decisioni. Contano gli eletti, non gli iscritti; e gli eletti, si sa, tendono a perpetuare la loro permanenza dentro le istituzioni, e per fare ciò devono comprimere e mettere ai margini chi possa insidiarli o essere un possibile e temibile concorrente.

Così facendo le migliori energie (donne e giovani, che ci sono e sono davvero tanti) non contano nulla e tendono a ritrarsi, a non impegnarsi in prima persona. Il rischio è che i candidati, in questo quadro, per affermarsi facciano ricorso al voto mafioso e al finanziamento mafioso, perché le campagne elettorali hanno un costo elevato.

Cosa fare per impedire questa deriva o per arginarla? Si possono fare tante cose. L’onorevole Roberto Occhiuto, candidato presidente del centrodestra, propone che sia la Commissione antimafia a vagliare le candidature prima che i partiti formalizzino le scelte e non dopo aver compilate le liste, come vuole la legge. Capisco l’intento, e lo apprezzo, ma non mi convince perché si dà l’impressione che la scelta, invece che sul candidato presidente, ricada sulla Commissione antimafia che verrebbe a svolgere un ruolo improprio.

Le candidature devono essere proposte dai partiti o dai responsabili delle liste civiche e approvate in via definitiva dal candidato presidente che si assume per intero la responsabilità politica perché tutti i candidati si richiamano al suo nome. Non c’è una soluzione valida in assoluto.

Un impegno pubblico

Io credo, e lo vado ripetendo da mesi, che è molto utile, dal punto di vista morale e culturale, chiedere ai singoli candidati la sottoscrizione di un impegno pubblico e formale a non accettare i voti della ‘ndrangheta e a respingerli in caso fossero offerti. So bene che questa proposta non è risolutiva; la storia di Montante è lì a farci da monito. Eppure sono convinto che se tutti i candidati sottoscrivessero un simile impegno sarebbe un segnale potente per gli uomini della ‘ndrangheta che vivono anche di simboli e sono alla ricerca del consenso.

Devono sentire che sono disprezzati. Vorrei che il mafioso avvertisse su di sé il fatto che la sua persona fa tanto schifo che il candidato a cui si appresta a dare i voti non li potrà accettare né chiedere pubblicamente. E gli elettori devono sapere di poter votare per una persona che, almeno a parole e pubblicamente, esprime una ripulsa verso i mafiosi e che non avrà alibi di sorta se tradirà questo impegno sottoscritto solennemente. Io faccio appello a tutti i candidati presidenti, nessuno escluso: fate sottoscrivere questa dichiarazione a tutti i candidati che vi sostengono. Non vi convince questa proposta? Fatene un’altra, si apra una discussione pubblica; ma bisogna sapere che occorrono azioni concrete, visibili.

Tra queste io annovero il ricambio radicale della rappresentanza politica che tagli i ponti con il passato recente e chiuda con la pratica compromissoria dove non c’è stato un confine netto tra maggioranza ed opposizione perché tutto accadeva in una terra di nessuno dove tutto si mischiava, si arrotolava in compromessi indicibili e indecenti che hanno bloccato il rinnovamento della Calabria e degli stessi partiti.

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