Sabato, su queste stesse pagine, Raffaele Alberto Ventura, partendo dal caso di Eric Zemmour, tra i candidati alla presidenza francese, è giunto alla conclusione di come il tragitto della destra populista abbia finito con l’essere assorbito dalla parte moderata, cambiandone definitivamente la natura.

Una retorica populista nuova, che si erge a difesa dei valori repubblicani e delle libertà democratiche conquistate a fatica dalle generazioni precedenti.

Un processo avviato da tempo

Un’analisi del tutto condivisibile, anche se va detto che non è Zemmour ad aver svelato questo meccanismo. Già Marine Le Pen, e da anni, si è erta a paladina dei diritti delle donne contro l’oscurantismo islamico. Da noi Matteo Salvini si è spinto fino a difendere i diritti degli animali quando, era il 2018, dal pratone di Pontida dichiarò solennemente: «Ora ci occuperemo di chi maltratta gli animali». Riferendosi non certo allo stuolo di cacciatori leghisti, bensì alla macellazione halal della cultura islamica (ma finendo col comprendere, suo malgrado, anche quella kasher di origine ebraica).

Cose analoghe si sono viste in Olanda con Geert Wilders, nell’Austria dell’ex cancelliere Sebastian Kurz e del suo vice Heinz-Christian Strache, in Finlandia con Timo Soini.

Insomma, il processo è avviato da tempo e dovrebbe spingere tutti noi ad abbandonare ogni atteggiamento fideistico rispetto a qualsivoglia ideologia e a riflettere sulla portata regressiva che può celarsi dietro ogni proposta progressiva.

Pochi, ad esempio, sono stati ambientalisti e animalisti quanto i nazisti, ma con un fine diametralmente opposto rispetto alle tendenze dei nostri giorni.

Progressismo à la carte

Un atteggiamento critico che aiuterebbe anche a far emergere le palesi contraddizioni in cui navigano queste forze politiche, che si rivelano progressisti à la carte. Femministi, ma sostenitori della famiglia patriarcale tradizionale. Libertari, ma contro tutte le battaglie di emancipazione del presente, dai temi bioetici a quelli legati ai diritti Lgbtq+. Insomma si assiste a un palese tentativo di strumentalizzazione, che ha in Zemmour il punto di approdo. Anche perché più in là di un gollista che loda Vichy e Petain è difficile andare.

Come considerare, però, l’altro elemento che indica Fontana, l’introiezione di questi argomenti da parte della destra che un tempo si sarebbe definita centrista? Anche qui ci sono precedenti. Ricordate il bavarese Horst Seehofer, che si opponeva strenuamente a ogni tentativo di ricollocazione dei migranti sbarcati in Grecia, Italia e Spagna? Oppure l’esponente della Cdu Manfred Weber, che voleva orientare il Ppe verso le posizioni del presidente dell’Ungeria Viktor Orbán?

Una deriva che sarebbe stata pericolosissima, col rischio di veder concretizzato quell’ossimoro, così tanto sbandierato dalle destre europee, chiamato «L’Europa delle nazioni». Espressione gollista utilizzata in chiave propagandistica per far digerire all’establishment e all’elettorato moderato i vari progetti di democrazia illiberale.

Il percorso, però, ha preso un’altra piega: Weber fu candidato da Angela Merkel alla commissione europea, in un probabile scambio con un’apertura di procedura per cacciare Orbán dai popolari europei.

È stata la mossa decisiva della politica europea del decennio pre Covid, dominato dalla crisi economica e dalla conseguente ondata populista. Ci si può domandare se l’introiezione della retorica dell’estrema destra sia una mossa moralmente accettabile, ma non si può negare che abbia raggiunto il risultato di spostare verso i margini le forze che si proponevano di sovvertire il sistema. Che la discussione, anche aspra, su questi temi si svolga nell’arco costituzionale è, comunque, fonte di sollievo rispetto ai rischi che si sono corsi.

L’inganno

In aggiunta, pare anche che il tempo stia svelando l’inganno populista: per governare devi istituzionalizzarti, ma istituzionalizzandoti perdi voti.

Sono così comparse figure ancor più radicali, favorendo un frazionamento che può essere un’ulteriore fonte di disgregazione di quel fronte politico.

Zemmour, «l’ebreo antisemita», come lo ha definito il Gran rabbino di Francia, Haïm Korsia, è la figura più in vista di questo processo. Se ne sia la coda, o rappresenti l’inizio di una tendenza che si diffonderà in Europa, solo il tempo lo dirà. Visto che siamo al momento dei bilanci, va però dato merito ad Angela Merkel, l’autrice della mossa decisiva. Almeno in parte, ha così riscattato la pessima gestione della crisi greca.

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