Dopo l’approvazione del  Pnrr con i suoi 235,1 miliardi di euro, la vera sfida è quella di una struttura di governance che garantisca coordinamento,  unitarietà di indirizzi, monitoraggio e verifica dei risultati. C’è però una particolare declinazione della governance che non va assolutamente trascurata  perché essenziale per il successo del piano.

Infatti, fra i suoi protagonisti  principali ci saranno sicuramente   le grandi  imprese controllate dallo stato, chiamate a partecipare ad un programma di investimenti di enorme portata. D’altronde già adesso, è meglio non dimenticarlo, queste  imprese  impiegano oltre 350.000 addetti, costituiscono più del 17% degli investimenti fissi e circa il 17% della loro spesa in ricerca e sviluppo.

Bisogna  chiedersi, allora,  quale sarà la strategia (e attraverso quali strumenti di  dirizzo)  che lo stato nella sua qualità di  azionista perseguirà in coerenza con le missioni del piano.

Il Forum Disuguaglianze Diversità nel suo rapporto sulle imprese pubbliche (Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane, luglio 2020) ha già affrontato questo fondamentale snodo proponendo un disegno istituzionale articolato su tre presidi: la definizione delle missioni, il governo delle partecipazioni, la governance delle società partecipate.

E lo fa alla luce di una situazione che presenta innegabili criticità nel coordinamento, trasparenza ed efficacia degli indirizzi dello stato nei confronti delle imprese partecipate.

Si disegnava una architettura istituzionale fondata sulla creazione di un Comitato di esperti, tecnici specializzati su specifiche materie, presso il ministero dell’Economia (Mef), con compiti sia di studio analisi e pubblicazione di dati, sia di monitoraggio sulla  concreta realizzazione delle missioni  attribuite alle imprese secondo le indicazioni strategiche dello stesso Mef sottoposte poi all’approvazione dal parlamento. Al ministro spetta anche il  compito di adottare, in coerenza con le missioni,  specifici atti di indirizzo per  le imprese controllate, con l’obbligo di presentare una relazione legata al Def.

La logica in sostanza è quella di un più stretto  coordinamento orizzontale dei diritti dell’azionista su tutte le partecipate, diritti, è bene chiarirlo, che nella proposta si coniugano con una contemporanea  valorizzazione della stabilità e autonomia della  governance societaria, con scaglionamento dei mandati dei consigli,  principi di revocabilità degli amministratori solo per giusta causa,  requisiti di indipendenza e professionalità rafforzati per tutti i componenti  degli organi.

L’obiettivo è quello di valorizzare il ruolo delle imprese nel rilancio degli investimenti, ma in un quadro che, come sottolinea il Rapporto, realizzi «un’interazione e  un agire sistemico e coordinato» fra di loro.

Si tratta di una proposta  maturata dopo un lungo confronto non soltanto tra i redattori ma anche con esponenti aziendali delle imprese pubbliche, e naturalmente aperta a suggerimenti e indicazioni di miglioramento, recentemente ad esempio è stata discussa e approfondita da alcuni giuristi nella rivista Giurisprudenza Commerciale.

Oggi si dibatte molto sul rinnovato ruolo dello Stato nell’economia, del quale il Pnrr esplicita testimonianza, e non bisogna certo rinunciare ai tanti stimoli che da questo dibattito provengono, ma il primo fondamentale passaggio, e di questo la proposta si fa carico, è quello di trovare il percorso  migliore affinché i diritti proprietari dello stato vengano esercitati, nel rispetto dell’autonomia delle società, attraverso indirizzi coerenti con le finalità  che giustificano la presenza pubblica.

In poche parole,  è sicuramente importante riflettere sul futuro dei sistemi economici e sulle relazioni tra iniziativa privata e pubblica, ma prima è bene occuparsi concretamente dei doveri e dei poteri dello stato quando deve fare il mestiere di azionista.

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