Il crollo di Facebook in Borsa rivela la sua natura: un monopolista fornitore di un servizio di cui non abbiamo davvero bisogno. La presentazione dei conti trimestrali di Facebook, che ora si chiama Meta, ha spinto gli investitori a vendere in massa le sue azioni, crollate del 20 per cento in poche ore. Eppure, i numeri sono ancora buoni, perfino stellari, l’azienda ha chiuso l’ultimo trimestre del  2021 con ricavi per 33,7 miliardi di dollari, perfino superiori alle attese. Nell’intero 2021 i ricavi si assestano su 117,9 miliardi, in deciso aumento rispetto agli 85,9 del 2020.

Ma gli azionisti guardano al futuro, non al passato, e il prezzo delle azioni rispecchia il valore attuale dei profitti futuri. Che sembrano più incerti di quanto si pensava, visto che per la prima volta Facebook vede ridursi il numero di utenti attivi sulla piattaforma: da 1,93 miliardi a 1,929 miliardi.

Una piccola differenza che indica un grande cambiamento, ammesso anche dal fondatore e amministratore delegato Mark Zuckerberg: i giovani preferiscono TikTok, il social network rivale fondato su video brevi e musica che, dettaglio rilevante, è l’unica tra le principali piattaforme a essere controllata da un gruppo cinese, ByteDance.

Il prezzo del monopolio

Al calo del numero di utenti attivi corrisponde un minore crescita della redditività: una tendenza che non sembra destinata a invertirsi. Chi frequenta le piattaforme si è accordo da tempo che Facebook è diventato il social network dei boomer, cioè di generazioni over 50 che magari hanno scoperto i social un po’ avanti negli anni ma che poi si sono entusiasmate. I più giovani hanno scelto prima Instagram, che è comunque una controllata di Facebook, per la sua immediatezza visiva – meno testo, più immagini e video – e poi TikTok, che quasi non contempla testi e neppure immagini statiche, ma soltanto video da scorrere a ciclo continuo.

La produzione di contenuti e le interazioni tra gli utenti sono lo strumento usato dall’azienda per raccogliere dati che permettono poi di vendere pubblicità mirata e altri servizi. Grazie al crollo di Borsa da record, abbiamo la conferma che Facebook deve gran parte del suo successo al sostanziale monopolio: se l’ammissione di Zuckerberg che il mercato delle inserzioni social è contendibile ha determinato un crollo del valore di Borsa di Meta del 20 per cento, significa che per i mercati un quinto del valore dell’azienda derivava di fatto dalla mancanza di alternative.

Si chiama “effetto network”: se tutti i nostri amici sono connessi sulla stessa piattaforma, non avremo grande interesse a frequentarne una rivale mezza vuota. Ma se l’altra piattaforma inizia a popolarsi di persone interessanti che fanno cose divertenti, allora l’incentivo a cambiare – o a stare su entrambe le piattaforme – aumenta. Quando Clubhouse ha lanciato le stanze in cui si poteva parlare con amici e sconosciuti, Twitter ha risposto offrendo lo stesso servizio per evitare che ci fosse una migrazione di utenti. Così come Facebook ha introdotto le “storie”, anche su Instagram e su WhatsApp, per arginare la concorrenza di Snapchat.

Effetti collaterali

Ora Zuckerberg non sa bene come fermare TikTok: ha già provato a copiarne il modello – con i reel su Instagram, stesso modello di TikTok – ma non basta, e neanche può comprarla (come ha fatto con Instagram e WhatsApp) perché è cinese e c’è la politica di mezzo. Inoltre, ByteDance – la controllante di TikTok – già fattura più di Facebook, visto che è passata dai 34,3 miliardi del 2020 ai 58 del 2021.

Inoltre, Apple ha iniziato a rivedere alcune impostazioni di privacy sui suoi dispositivi per limitare la possibilità di Facebook di tracciare le attività degli utenti, e anche questo ha contribuito a ridurre le prospettive di redditività dell’azienda di Mark Zuckerberg. Perché tra gli effetti del monopolio di Facebook c’è quello di aver progressivamente ridotto la privacy offerta ai suoi utenti, che all’inizio era uno dei tratti distintivi del social network rispetto a suoi concorrenti meno attenti come l’ormai dimenticato MySpace. Spariti i concorrenti, Facebook ha iniziato a ridurre le tutele.

La tempesta perfetta

Il crollo del titolo in Borsa va inserito nel contesto di un generale riposizionamento degli investitori che stanno adattando le proprie aspettative al nuovo contesto. La pandemia sta forse finendo mentre le politiche monetarie straordinarie hanno favorito l’inflazione che ora le banche centrali combatteranno con tassi di interesse più alti. Questo significa meno consumi via Amazon, meno abbonamenti ai servizi di streaming e più profitti per le banche e altri servizi finanziari, quindi i capitali iniziano a muoversi dai settori più tecnologici a quelli che trarranno profitto dalle mutate condizioni. Anche Netflix e PayPal, tra gli altri, hanno sofferto pesanti ribassi dovuti al nuovo contesto.

Ma per Facebook la situazione è più critica: l’azienda è diventata il simbolo di quanto c’è di sbagliato ed eccessivo nella traiettoria di sviluppo dei giganti della Silicon Valley. La società di Zuckerberg ha acquisito troppo potere – al punto da poter bandire Donald Trump per almeno due anni – che esercita in modo discrezionale e senza pieno controllo: non riesce e non vuole arginare la disinformazione, il flusso di contenuti pericolosi o razzisti, ha ignorato l’impatto negativo di Instagram sui ragazzini, non ha saputo arginare l’uso della propria piattaforma da parte di agenti stranieri (fin dalle elezioni 2016, con le operazioni russe pro-Trump). Quello che stiamo vedendo non è forse l’inizio della fine di Facebook e Zuckerberg, ma certo sembra la fine della sua ascesa inarrestabile.

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