Nello stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco nonostante dodici anni di cassa integrazione, i reparti confino, l’emarginazione dei sindacati, la crisi dei semiconduttori, e nonostante ogni nuova produzione faccia sistematicamente calare l’occupazione invece di farla aumentare, si continuano a chiedere rassicurazioni sul fatto che l’azienda metta in produzione una nuova auto in grado di «saturare la capacità produttiva dello stabilimento». 

In principio quell’auto doveva essere la Panda. La produzione fu annunciata nel 2007 dall’allora amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne in visita a Pomigliano d’Arco. Le linee però partirono solo 4 anni dopo nel 2010, e nonostante la produzione dovesse saturare i posti di lavoro come annunciato, già nel 2014 divenne chiaro come non sarebbe stato così.

Negli anni i dipendenti sono passati da quasi 7.000 ai 4.600 attuali di cui solo 3 mila lavorano effettivamente, gli altri sono in cassa integrazione cercando di maturare il rateo. Ovvero il numero minimo di giorni, quindici, per dimostrare di aver lavorato abbastanza e ricevere la quota mensile della tredicesima o del Tfr, maturare le ferie o i permessi.

LaPresse 14-12-2011 Pomigliano d'Arco (NA), Italia Cronaca Sergio Marchionne presenta la nuova Fiat Panda Nella foto: Sergio Marchionne durante la presentazione

Tra i mille operai che lavorano a turno in cassa integrazione, 200 non maturano il rateo da marzo perché a “ridotte capacità lavorative”, o Rcl, ovvero con patologie croniche, ernie o periartriti. L’azienda infatti dopo aver temporaneamente interrotto la produzione non li ha più richiamati sulle linee. E nonostante la Fiom abbia dichiarato in una nota come «l’utilizzo della cassa integrazione nei confronti dei lavoratori Rcl sia una chiara discriminazione» nulla è cambiato in questi mesi. 

Piena occupazione?

A oggi della piena occupazione promessa non sono rimasti che gli ammortizzatori sociali, inaugurati quando a Pomigliano d’Arco c'erano da convertire le vecchie linee Alfa per produrre la Panda. Quando insomma fu considerato uno stabilimento «da rieducare» e rendere produttivo, attraverso quella che secondo le parole del giuslavorista Alberto Piccinini fu una strategia ben precisa e «un attacco senza precedenti» del maggior gruppo industriale italiano contro le forze sindacali. 

Il confronto, iniziato su un nuovo contratto collettivo, maturò in seguito alle richieste dell’azienda di limitare il diritto di sciopero e malattia, e sfociò in una dura opposizione di alcuni sindacati, tra cui la Fiom. L’opposizione non si sciolse e così l’azienda decise di firmare il nuovo contratto solo con alcune firme sindacali ed estromettere le altre.

Venne così costituita una nuova società, la Fabbrica Italiana Pomigliano, FIP, con cui Fiat assorbì tutti quei lavoratori che sottoscrissero il nuovo contratto, e lasciò invece gli operai dei sindacati contrari a carico della vecchia azienda, FGA, in cassa integrazione. La situazione resse fino al 2013 quando il giudice del Tribunale di Roma non riconobbe la discriminazione sindacale e la Fiom ottenne il reintregro dei propri delegati in fabbrica. 

Tuttavia la Fiom ottenne un reintegro solo formale, perché alcuni mesi dopo Fiat annunciava il passaggio di tutti i dipendenti da FIP nuovamente a FGA. E lasciava che la sorte dei lavoratori fosse disciplinata da un accordo sindacale separato che li ripartiva in tre aree.

Mentre per i lavoratori delle prime due aree veniva prevista una sostanziale continuità produttiva (tranne temporanei cali di mercato) nessun effettivo criterio di rotazione venne garantito per la terza, quella in cui erano stati destinati i dipendenti Fiom reintegrati e che, guarda caso, era propria l’area maggiormente interessata al ricorso della cassa integrazione.

Lo stesso anno il contratto Fiat fu dichiarato legittimo dalla Cassazione, e quindi legittima anche la possibilità delle aziende di stringere contratti collettivi senza che tutte le parti sindacali fossero d'accordo. In seguito la Fiom non fece più causa all’azienda per discriminazione sindacale, nonostante avesse ancora luogo. 

Cosa resta dei sindacati

Foto LaPresse/Marco Cantile Napoli, 21/04/2017 Cronaca Convegno FIOM-CGIL La FIOM in FCA, contrattare il domani. Per il rientro del sindacato Fiom nella fabbrica ex FIAT di Pomigliano D'Arco. Nella foto: Susanna Camusso e Maurizio Landini

A oggi l’unica vertenza sindacale per discriminazione sindacale ancora in essere è quella dello Slai Cobas per la discriminazione subita dai suoi iscritti nell’interporto di Nola a partire dal 2008. Quando 316 operai - in maggioranza iscritti allo Slai - furono spostati a 20 chilometri di distanza da Pomigliano d’Arco per non fare nulla, in quello che sarebbe dovuto essere un centro della logistica ma era a tutti gli effetti «un capannone vuoto con una cinquantina di sedie e i bagni» racconta Guglielmo Dorato, operaio a Nola dal 2008. 

La lunga e complessa causa legale si dovrebbe concludere il prossimo febbraio, quando la corte del tribunale di Nola si riunirà per rivedere il giudizio negativo dato nel 2012.

Lo scorso gennaio infatti la Cassazione ha ribaltato le precedenti sentenze di Nola e della corte d’appello di Napoli, entrambe concordi nel ritenere infondata la causa per discriminazione, imponendo invece un riesame in cui dovrà essere - e questa è una novità - Fiat a dimostrare come la discriminazione non abbia avuto luogo. 

«Nola oggi non è più un reparto confino», non si tratta certo del polo logistico di eccellenza che aveva promesso l’azienda nel 2008, tuttavia a oggi qui si maturano più giorni lavorati che sulle linee di Pomigliano d’Arco, dove gli impianti sono fermi da luglio a causa della mancanza di semi conduttori. «Lavoriamo su due turni da 50 persone alla volta, imballiamo i motori che vengono spediti verso l’America» spiega Arcangelo De Falco operaio di Nola. «Entro il prossimo anno torneremo a Pomigliano».

Pare infatti che l’intenzione di Tavares sia quella di chiudere uno stabilimento che non ha senso di esistere, mentre è attesa per il prossimo giugno la produzione del nuovo suv Alfa Romeo Tonale, tuttavia dicono gli operai «non sappiamo cosa sarà di noi». A ottobre è previsto l’appello di Fca ad una vertenza del 2015 che reintegrò nel ciclo produttivo molti di loro, è probabile quindi che nel caso di vittoria dell’azienda siano licenziati. 

Il futuro con Stellantis

(C)lucafenderico/lapresse

Solo alcune settimane fa l’attuale amministratore delegato di Stellantis si è recato a Pomigliano d’Arco per fugare le preoccupazione per eventuali esuberi. Tuttavia a oggi non sappiamo ancora quale sarà il destino di questo stabilimento, come degli altri stabilimenti italiani.

«Ogni dubbio sarà chiarito solo il prossimo anno quando sarà annunciato il nuovo piano industriale» fanno sapere dall’azienda. I sindacati in compenso hanno chiesto al governo di convocare un ulteriore tavolo insieme all’azienda, dopo quello che si era già tenuto a giugno, per avere garanzie. La produzione della Panda infatti continuerà fino al 2023, dopo di che la sola produzione del suv Tonale non basterà a far lavorare molti di loro. 

«Il tema vero è che per una fabbrica come quella di Pomigliano o hai la capacità di fare un grande investimento, anche in grado di seguire la transizione ecologica, o altrimenti i numeri sono assolutamente insufficienti per soddisfare quella che è la capacità produttiva dello stabilimento» dice Mario Di Costanzo operaio e rappresentante sindacale della Fiom «sia proprio in termini di aree occupate sia come un numero di addetti.

Oltre ai diritti di sciopero e malattia, la polemica negli anni non è cambiata: non c’è un piano industriale adeguato per garantire i numeri che dal 2007 la Fiat promette in questo stabilimento».

Oggi con Stellantis le cose si sono solo più complicate, anche per la minor forza contrattuale della parte italiana rispetto alla controparte francese. L’obiettivo tuttavia è chiaro «ottimizzare i vari processi produttivi riducendo i costi, e sappiamo tutti cosa voglia dire». 

© Riproduzione riservata