Tuo figlio esce da scuola, sale in macchina, gli fai alcune piccole domande di rito, lo guardi nello specchietto retrovisore mentre si mette la cintura di sicurezza, noti in lui una vena di mistero. «Tutto bene?». «Sì». Tuo figlio è diventato più grande, per forza ha questa vena di mistero, è parte del percorso. Grande, poi, non esageriamo. Grandicello. Grandino.

Complicazioni

Arrivi a casa, lo guardi scendere dalla macchina e correre nella sua stanza. Ti chiedi se sia triste, se qualcosa sia andato storto nel corso della sua giornata. Dai tempi della tua infanzia hai conservato questa idea confusa: l’essere più grandi si accompagna all’essere più complicati e riservati. Decidi dunque di raccontare le tue perplessità genitoriali a un amico che consideri sensibile, gli telefoni, lui dice: «In effetti io a quell’età ero… Non so come dire, ero un ragazzino difficile. Sì, quello che dici mi ricorda proprio come ero io». Non commenti, non vuoi offendere il tuo amico, ma di colpo pensi che lui, come adulto, è un disastro su tutta la linea, per quanto simpatico, amabile, intelligente, ma è un disastro. Oddio, che sta succedendo a tuo figlio? Non diventerà mica pazzo come il tuo amico? Chiudi la telefonata di fretta con una scusa.

Vai dal figlio, provi a indagare. Lui ti osserva, corruga la fronte. A un certo punto dice: «Ma perché fai tutte queste domande?». Allora confessi le tue preoccupazioni, spieghi di avere la sensazione che qualcosa sia andato storto nella sua giornata. E lui ti ascolta attento, e infine dice qualcosa, si apre. «In effetti, mamma, è successo questo». Ecco! Un accadimento piccolo, non grave, ma comunque qualcosa che evidentemente l’ha colpito! Eri nel giusto! Il tuo sesto senso non sbaglia mai! Fai qualche domanda in più, raccogli altri particolari, infine dai alcune dritte su come va il mondo, spieghi perché questo accadimento che l’ha colpito non è grave, lo rassicuri, lo abbracci, lui ti ringrazia.

Arriva la sera. Vai a dormire. Rimugini, il racconto di tuo figlio assume una drammaticità diversa. Forse hai sottovalutato qualcosa nelle sue parole? Il racconto cambia aspetto, assume nel corso della tua analisi notturna tinte più fosche. Ti preoccupi. Dormi male. Malissimo. Non dormi. Il mattino dopo prepari la colazione, tuo figlio arriva, gli chiedi se ha dormito bene, lui: «Benissimo». E tu, d’un fiato: «Senti, rispetto a quella cosa che mi dicevi ieri…». E lui: «Quale cosa?». Spieghi con calma.

Lui si illumina: «Ah, quello! Scusa. Mi spiace. La verità è che mi sembrava che tu volessi sapere cosa mi preoccupa, ma io non avevo niente da dire, e allora ho detto una cosa a caso… Non falsa, eh. Ma non è una cosa che mi preoccupa. Io sono a posto. Davvero. Ma se mi viene in mente altro te lo dico. Giuro».

Capire male

Philip Roth in Pastorale americana ha scritto una famosa riflessione: «Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati». 

Pastorale americana, fra l’altro, è il libro ideale per mettere in ansia i genitori. Questa frase si riferisce alle persone in generale, ma ultimamente mi trovo ad applicarla ai figli. Vivere significa sbagliare, dunque significa sbagliare anche sui figli? Vivere è capirli male, capirli male e male e poi male?

Oggi i ragazzini, si dice, sanno tutto, sono stimolati in ogni modo, crescono prima, è internet, è l’alimentazione. Non so se sia vero. Forse sì, forse no. Nella nostra epoca il dramma ha molto spazio, dunque la drammaticità ha tutto il palcoscenico che desidera, per questo ogni cosa sembra più grande, più intensa, più espressiva. Lo è davvero? Questi nostri figli ancora minuscoli che sanno tutto di Putin e di Zelensky, ma che poi non hanno mai voglia di allacciarsi le scarpe. Che vogliono vedere un film da grandi, ma che si dimenticano sempre i guanti a casa. O il berretto. Sono cresciuti? Sono ancora piccoli? Di certo sono pieni di errori, e noi siamo pieni di errori. Forse il senso della vita, per riprendere il ragionamento di Roth, è nell’accumulo di tutti questi errori. Il senso della vita sono le inesattezze. Le incomprensioni e i pasticci sono la materia prima. Sono la materia e basta, il resto non è. Godiamoci la gita.

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