«Credo che tutto il programma 2021 del Forum sia di straordinario interesse: non potremo non parlare di Afghanistan con l’ambasciatore Stefano Pontecorvo ma anche di Africa. Ci saranno i governi francese, tedesco e spagnolo e 14 ministri del governo italiano»: così Valerio De Molli, managing partner e Ceo di The European House Ambrosetti scrive su Twitter per illustrare, in estrema sintesi, alcuni degli aspetti salienti del meeting annuale del gotha dell’imprenditoria e della finanza italiana che come ogni anno si dà appuntamento sulle rive del lago di Como a Villa d’Este di Cernobbio ai primi di settembre, in vista della ripresa economica e politica dei palazzi romani dopo la pausa estiva.

Inizia infatti oggi, per concludersi domenica, la quarantasettesima edizione annuale del Forum The European House, Ambrosetti dall’altisonante titolo che si ripete identico a sé stesso dal 1975: “Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”. Un fortunato slogan, probabilmente nato senza pretese di durare così a lungo. Il Forum si sviluppa nell’arco di tre giornate: la prima è dedicata ai grandi temi globali con un taglio economico, geopolitico e scientifico/tecnologico; la seconda è incentrata sull’Europa con la presenza di rappresentanti di tutte le principali istituzioni continentali; la terza parte, il gran finale, è dedicata all’Italia alla presenza di una numerosa compagine di rappresentanti del governo in carica e di quelli futuri.

Una formula di esclusività

Ma qual è il segreto del successo di questa manifestazione che si ripete negli anni come un rassicurante rito repubblicano di fine estate? Secondo il sito della stessa organizzazione: «Il segreto del successo di questo appuntamento resta la sua esclusività: i lavori, da sempre, si svolgono a porte chiuse e il Forum rappresenta tutt’oggi un’occasione unica di incontro e di dialogo per molti attori e protagonisti della scena economica e politica internazionale». Insomma, un incontro esclusivo ed elitario riservato a pochi privilegiati nell’èra globale.

Plausibile spiegazione di un evento di successo, che presentandosi come elitario non piacerà a coloro che si battono contro le élite. Eppure in un precedente edizione del 2013 la star della tre giorni fu proprio Gianroberto Casaleggio, cofondatore con Beppe Grillo del M5s, che andò a Cernobbio per incontrare l’establishment del paese, parlare di politica e nuovi media e di come cambiare il modo di partecipare alla vita politica usando la rete. Così come in passato i magistrati del pool milanese di Mani pulite presentarono all’apogeo della loro popolarità proprio al Forum alcune proposte di riforma della giustizia e sugli appalti.

Più prosaicamente i lavori a porte chiuse costringono i giornalisti accreditati all’evento a intervistare qualche partecipante dei presenti nella sala Impero di Villa d’Este più ciarliero degli altri che racconta, a suo modo e a patto di mantenere l’anonimato, cosa detto o accaduto in sala: applausi, mugugni, liti, sguardi velenosi e scambi di invettive tra politici e platea, tra i relatori provenienti da tutto il mondo chiamati a fornire indicazioni valide per navigare in un mondo che cambia oscillando tra globalizzazione e sovranismi, austerità e spesa pubblica keynesiana, politiche monetarie restrittive e acquisiti di obbligazioni da parte delle banche centrali a seconda delle stagioni del ciclo economico.

Una formula autoreferenziale

Ma ha ancora senso questa formula autoreferenziale dell’élite del paese in un mondano week end sul lago nell’èra di internet, delle breaking news e della interconnessione permanente? Sono in molti a chiederselo ai tempi dei social network.

Molti dei partecipanti delle passate edizioni ammettevano di andare al Forum non tanto per ascoltare i relatori (tra i quali quest’anno spicca il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz sulle ricadute economiche post Covid-19) ma per fare networking, tessere relazioni, scambiarsi bigliettini da visita e dimostrare agli altri partecipanti di esserci o, per i più giovani imprenditori, far parte dell’élite solitamente gerontocratica.

Un rito stanco e autoreferenziale che potrebbe aver perso smalto. Insomma ha ancora senso passare tre giorni al lago per sentire come quest’anno il messaggio del presidente russo, Vladimir Putin, l’intervento di Abdul Hamid Dbeibeh, premier libico, il discorso di Félix Tshisekedi, presidente della Repubblica Democratica del Congo insieme al “framework globale” dello storico Niall Ferguson, della Stanford University, che anticipò nel 2019 la nuova Guerra fredda tra Washington e Pechino, all’analisi congiunturale dell’economista Nouriel Roubini, che predisse nel totale scetticismo la crisi del 2007 provocata dai mutui subprime?

Si può trarre qualche segnale degno di nota sulla situazione politica degli Usa dal focus in agenda, moderato da Domenico Siniscalco, vicepresidente di Morgan Stanley nonché ex ministro delle Finanze italiano, alla presenza dell’onnipresente Ian Bremmer, di Eurasia Group, di Lindsey Graham, senatore degli Stati Uniti per la Carolina del Sud e di Pat Toomey, senatore per la Pennsylvania?

E che dire del focus sul Next generation Eu, sulle prospettive del dossier da 200 miliardi di euro, esaminato in un dibattito moderato dall’ex commissario alla Concorrenza Ue e presidente dell’Università Bocconi, Mario Monti, l’uomo dell’austerità di governo voluta dalla Ue, delle lacrime di Fornero, che oggi spiega la nuova svolta espansiva europea? Il dibattito sul Ngeu introdotto da un messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da un intervento di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, in un dibattito animato da Vittorio Colao, ministro dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale ed ex ceo di Vodafone; Bruno Le Maire, ministro dell’Economia, delle finanze e del rilancio della Francia; Nadia Calviño, vicepresidente del governo spagnolo e ministra per gli Affari economici e la trasformazione digitale del governo e da ultimo da Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia non rischia di essere troppo istituzionale e retorico? Senza dimenticare che per i palati più esigenti il menu propone nella sezione “Visioni alternative sull’Europa”, un dibattito tra un senatore americano e il sovranista Geert Wilders, leader del Partito per la libertà (Pvv) nei Paesi Bassi.

Con un programma così ricco e variegato, parcellizzato perché ciascun partecipante abbia con una domanda il suo quarto d’ora di celebrità, non si rischia di mettere troppa carne al fuoco e di non riuscire a segnalare i due o tre temi forti su cui concentrare l’attenzione dei partecipanti? Il compito di un think tank non dovrebbe essere selezionare i temi, prevedere in anticipo gli argomenti clou per prepararsi al “cigno nero” che ancora non abbiamo visto pur avendolo sotto gli occhi?

I segnali deboli e i cigni neri

In una passata edizione del Forum un partecipante mi segnalò in un angolo inosservato, Frederik de Klerk, l’ex presidente sudafricano che con Nelson Mandela mandò in soffitta l’apartheid nel suo paese. Lo intervistai e ne scaturì una testimonianza molto interessante che altrimenti sarebbe andata persa. Come in un'altra occasione riuscii ad intervistare il professore Samuel Huntington, autore dello Scontro delle civiltà, che mi diede l’impressione di essere stanco di dover spiegare sempre la stessa tesi pubblicata nel suo libro e cercava, inutilmente, di portare il discorso su temi più freschi.

In un’altra occasione l’allora presidente delle Generali, Antoine Bernheim, si lasciò sfuggire abbastanza vagamente con un gruppo di giornalisti di una banca americana d’investimento in grave difficoltà. Si trattava, ma lo scoprimmo dopo, di Lehman Brothers che poi venne fatta fallire il 15 settembre 2008 e dei titoli tossici dei mutui subprime. Ma pochi dei presenti si accorsero del segnale di crisi imminente che quella frase racchiudeva. Il vero compito di un’élite è di assumersi delle responsabilità collettive, interpretare i segnali deboli, preparare la barca alla tempesta e cercare un porto sicuro.

Quest’anno di certo si parlerà nei salotti del Forum di elezioni tedesche di settembre, se l’Spd di Olaf Scholz sarà capace di raccogliere l’eredità di Merkel, se il prossimo governo di grande coalizione di Berlino sarà composto da Spd, Cdu-Csu e come terzo partito dai Verdi o dai liberali. E se in Italia dopo il governo Draghi ci sarà qualcosa di analogo con una federazione tra Lega e FI a destra e Pd e Leu a sinistra così da formare una grande coalizione che escluda gli estremi (Fratelli d’Italia e M5s). Fantapolitica? Forse, ma di questo non si parlerà in pubblico, solo nei salotti riservati di Villa d’Este, dove appunto si riunisce l’élite.

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