Omnes fratres, cioè Fratelli tutti: si chiamerà così l’enciclica che papa Francesco firmerà il 3 ottobre ad Assisi. Formalmente è la terza, ma (se si esclude Lumen Fidei – sottoscritta per di rispetto verso il predecessore Joseph Ratzinger che l’aveva quasi completata) è solo la seconda volta che Jorge Bergoglio ricorre a questo genere letterario. E, come già fu per Laudato si’, si fa prestare l’incipit da san Francesco: stavolta dalla Ammonizione VI datata attorno al 1221 e contenuta nel codice 338 della biblioteca del Sacro convento.

L’enciclica è l’atto tipico due secoli con cui negli ultimi due secoli papato prende posizione teologica o politica. Con una enciclica il pontefice può segnare una svolta come fu con Rerum Novarum nel 1891. Può annunciare stagioni di repressione come quella aperta dalla Pascendi di Pio X del 1907 (anche se padre Marella, una delle sue vittime, sarà beatificato il 4 ottobre) o quella della Humani Generis del 1950, una delle quarantuno encicliche di Pio XII, che, in nome di un totalitarismo dottrinale, punì i teologi cattolici (come von Balthasar, Congar, Danielou, De Lubac, Grillmeier, Ratzinger che dopo il concilio sarebbero diventati cardinali). Può segnare una frattura come fu nel 1969 per Paolo VI l’Humanae vitae sulla contraccezione, o diventare il luogo in cui, come faceva spesso Karol Wojtyła, si giustapponevano le tesi divergenti di tutti quelli che amano citarsi, premettendo però “come dice il papa”.

Bergoglio s’è mosso davanti a questo genere letterario con libertà. Non ha fatto una “enciclica programmatica”, ma ha firmato la straordinaria esortazione apostolica Evangeli Gaudium. Ha pubblicato Laudato si’ che una enciclica verde, ma in cui ha accolto la teologia escatologica del creato del patriarca ecumenico Bartholomeos. E adesso ha preparato la più lunga, “sulla fraternità e l’amicizia sociale”.

Non sarà l’enciclica che sventola bandiera bianca davanti all’islam, come sibilano i siti reazionari orfani di Steve Bannon, il profeta di una conversione fondamentalista antipapale del cattolicesimo, , ormai in galera. Ma sarà l’enciclica che difende l’unità della famiglia umana, principio che i credenti non possono lasciar erodere dal cinismo metafisico che ritiene i mali del mondo globale troppo vistosi per essere presi sul serio e dal razzismo travestito di chi considera fatale la miseria di mezzo mondo.

A monte di questa enciclica stanno due eventi. Il primo è la dichiarazione sulla fratellanza umana, firmata il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi insieme al grande imam della moschea di al-Azhar, figura autorevole a cui tutti perdonano alcune dichiarazioni durante l’intifada e che non ha per tutti i musulmani la rappresentatività che gli attribuiscono i cattolici.

Atto importante per fare degli Emirati un luogo di dialogo, la dichiarazione è stucchevole in taluni passaggi – come quando spiega la crisi del mondo è causata da un “allontanamento dai valori religiosi” derivato dalla “filosofie materialistiche”, propone di dare un “solida morale” ai bambini e ripete l’orecchiabile ritornello sulla violenza fondamentalista come “deviazione” e “abuso politico” della religione. Ma ha un incipit folgorante, profetico, commovente, col quale i credenti prendono la parola non in nome di un generico "dio unico", insopportabilmente astratto per la tradizione biblica e coranica, ma in nome dell'eguaglianza e della libertà di ogni membro della famiglia umana, dei popoli vittime della guerra e dei cardini della giustizia dei miseri e dei torturati, dei fuggitivi e degli uccisi. Fare di quell’incipit un pensiero compiuto è l’origine e la sfida di Fratelli tutti.

Le prevedibili critiche 

Il secondo evento è la pandemia e la sfida di una minaccia nella quale l’opulenza si è scoperta fragile e le dittature meno efficaci delle democrazie:  stato proprio predicando su un brano del profeta Giona a metà maggio che Francesco ha rilanciato l’idea di una comunione orante dei credenti. E ha risposto a chi presumeva gli avrebbe contesto che non si può pregare insieme perché implicherebbe un “relativismo religioso”. E rispondeva: “Ma come non si può fare, pregare il Padre di tutti? [...] Siamo uniti tutti come esseri umani, come fratelli, pregando Dio. Secondo la propria cultura, secondo la propria tradizione, secondo le proprie credenze: ma fratelli”.

La questione era delicata perché toccava uno di quegli snodi dottrinali in cui il magistero cattolico non cambia posizione, ma paradigma. C’è infatti tutto un magistero che l’integrismo reazionario agiterà contro l’enciclica di Francesco: gli verrà opposto Pio X che attaccava la “costruzione puramente verbale e chimerica” in cui vedeva “luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa” (Notre charge apostolique, 1910); gli si contrapporrà Pio XI nel 1928 aveva deriso il dialogo con gli “infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione”; e si ricorderà che Benedetto XVI aveva scritto nel 2005 che “deve risultare nettamente che non esistono le religioni in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l’ambito della immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime”.

In mezzo però c’è stato il Vaticano II, la dichiarazione Nostra aetate e la scoperta dell’ebraismo come sacramento di ogni alterità, che insegna alla chiesa che ciò che in tutto ciò che è irriducibile ad ogni assimilazione c’è la radice di un comprendersi diverso, in quella linea indicata da Papa Giovanni che, a chi gli contestava di aver cambiato troppo, rispondeva “non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Non è forse un caso che il Fratres sumus che prendeva dall’episodio biblico in cui Giuseppe ritrova i fratelli che lo avevano venduto (Genesi 42,13), era un leitmotiv, citato anche nel famoso discorso del “date una carezza ai vostri bambini”, che oggi riprende sapore nella parola di papa Francesco e nella ricezione del Vaticano II. Una ricezione “accrescitiva”, che coglie cioè punti di forza della magistero conciliare e li porta fino al loro compiersi, anziché accontentarsi di citazioni non sono mai mancate in una stagione che ha creduto che il Vaticano II facesse parte del passato remoto della chiesa.

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