Nelle ultime settimane il dibattito sulla mancata applicazione della direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative ha assunto un certo vigore. Il 9 marzo il sottosegretario alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, in una intervista al Giornale, ha difeso il rinnovo per 15 anni senza gara (oggetto di contenzioso con la Commissione Ue) e avanzato dubbi sull’ipotesi che l’accesso al mare sia una risorsa scarsa.

Al sottosegretario ha implicitamente risposto il 22 marzo l’Antitrust ricordando come la proroga delle concessioni limiti: l’accesso al mare è una risorsa scarsa; come tale, la gestione può essere concessa a privati, purché per una durata limitata e con una selezione aperta.  

Ma chi ha ragione allora tra il sottosegretario Centinaio e l’Antitrust?

A noi non sembrano possibili dubbi sul fatto che l’accesso al mare sia una risorsa scarsa. Dopo tutto, se non lo fosse, allora il canone di concessione dovrebbe essere pari a zero: le risorse che non sono scarse non si pagano. Se il sottosegretario avesse ragione, perché non fare le gare? Nessun partecipante offrirebbe più di zero. Poiché invece l’accesso al mare è una risorsa scarsa, le offerte non mancherebbero, come suggeriscono anche i numeri del settore, evidenziati dall’Antitrust.

Nel 2019, più del 70 per cento delle 29.000 concessioni prevedeva canoni inferiori a 2.500 euro.  Dato un volume d’affari di circa 15 miliardi di euro (Nomisma), i canoni concessori, pari a circa 100 milioni, costituiscono solo lo 0,7 per cento del fatturato.

La proroga ingiusta

Detto questo, a noi pare che siano rimasti ben pochi argomenti economici a sostegno della proroga ex lege delle concessioni balneari. Una critica – molto ascoltata nel mondo politico - mette in risalto i rischi occupazionali che le gare comporterebbero per il comparto. Tali timori ci paiono poco fondati.

Se la procedura di gara sarà finalizzata a massimizzare l’introito per l’erario, è lecito attendersi che l’occupazione rimarrà stabile e che i consumatori non pagheranno prezzi più alti rispetto a quelli attuali.

Infatti, i prezzi che i consumatori pagano oggi per l’accesso al mare non riflettono solo i costi di produzione del servizio, ma incorporano una rendita oligopolistica, derivante dal possesso del fattore scarso.

Detto altrimenti, i prezzi fissati dalle imprese balneari consentono la copertura dei costi di produzione, comprensivi dello stipendio del titolare, oltre al compenso per il rischio imprenditoriale e alla rendita. Questi prezzi riflettono quindi il potere oligopolistico delle imprese balneari e consentono a queste ultime di massimizzare il profitto.

La rendita allo stato

La gara a evidenza pubblica non è altro che lo strumento con il quale il governo riassegna la rendita oligopolistica al settore pubblico. E i partecipanti alla gara saranno disposti a pagare, per vincere la concessione, un ammontare pari alla rendita di cui godranno una volta stabilito il prezzo di oligopolio. Quest’ultimo però non cambia rispetto a quello attuale, perché i costi di produzione non sono cambiati, essendo il canone solo un costo di accesso al mercato.

Se i prezzi non variano, non cambierà la domanda e quindi non ci sarà neppure un effetto apprezzabile sull’occupazione, almeno in prima approssimazione. Caleranno però i margini di profitto delle imprese balneari, a meno che queste ultime non sappiano re-inventarsi, magari fornendo alcuni servizi a valore aggiunto richiesti dalla clientela, migliorando la qualità del servizio o riducendo i costi.

Dove sono le multinazionali?

The picture shows the overcrowded beaches of Riccione and Rimini, Italy, 05 September 2006. Photo by: Matthias Schrader/picture-alliance/dpa/AP Images

Un secondo ordine di critiche preconizza l’entrata di multinazionali nel settore, pronte a colonizzare le nostre spiagge.  A noi sembra che non esistano forti economie di scala nella gestione degli stabilimenti balneari; pertanto, non ci aspettiamo che pochi grandi gruppi si “approprino” delle concessioni.

Nei Paesi dove le gare nel settore balneare sono regolarmente svolte, non si assiste a forme rilevanti di concentrazione nel settore. In ogni modo, questo eventuale problema si potrebbe affrontare limitando il numero delle concessioni in ogni Comune. Inoltre, la teoria economica suggerisce come, nelle gare, il gestore incumbent, avendo maggiori informazioni sulla domanda rispetto ai rivali, risulti tipicamente già favorito rispetto ai potenziali “entranti”, rendendo pertanto inutili se non contro-producenti anche tutte le clausole di favore spesso invocate a protezione degli attuali gestori.

Infine, alcuni critici lamentano la mancata remunerazione degli investimenti dei gestori uscenti in caso di subentro. Ma anche questo è un ostacolo di facile soluzione, come accade d’altronde in tutti gli altri settori nei quali viene applicata la concorrenza per il mercato: basta imporre al gestore subentrante l’obbligo di pagare all’uscente il valore residuo del fondo ammortamento.

Se le gare vengono svolte in un settore complesso come quello della distribuzione del gas, non si capisce perché non si possano applicare in uno semplice come quello degli stabilimenti balneari.

Il comparto dei balneari, nel suo piccolo, costituisce un interessante laboratorio per comprendere come, nel nostro paese, le parole concorrenza e mercato siano ancora difficili da digerire.

Nonostante alcune buone notizie recenti, siamo dubbiosi che l’attuale maggioranza di governo abbia la voglia o la forza di opporsi ad una delle tante lobby e decidere, per una volta, a favore della collettività: i contribuenti, ma anche quegli imprenditori potenziali che avrebbero idee innovative per il settore e che, con una procedura di gara aperta e trasparente, potrebbero almeno mettersi alla prova.

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