Vedere la benzina che supera di nuovo i 2 euro, che arriva anche a 2,3 euro al litro nelle località turistiche, scatenerà le prevedibili reazioni di panico: il governo deve fare qualcosa, così non si può andare avanti.

Sarebbe sempre bene ricordarsi– in questo inizio estate di caldo innaturale – che la transizione ecologica si fonda sul principio di rendere relativamente più costose le energie fossili e più economiche quelle sostenibili. Dobbiamo prepararci a un mondo nel quale benzina e gasolio costeranno molto più che in passato.

Nell’immediato, però, non tutti possono permettersi un’auto elettrica o un monopattino. Gli economisti in questi casi dicono che la domanda è poco elastica, si riduce in modo marginale anche a fronte di prezzi molto più alti.

Per questo il governo Draghi finora è intervenuto con misure come il taglio delle accise e dell’Iva sui carburanti che costa miliardi alle casse pubbliche, riduce un po’ il prezzo alla pompa ma di fatto trasferisce il costo dei rincari dai consumatori (tutti, ricchi e poveri) allo stato.

Questa crisi energetica ha due cause: una strutturale (la necessità di arginare i danni al clima e la transizione ecologica) e una contingente (la guerra in Ucraina che fa impazzire il mercato del gas). Servono dunque reazioni contingenti e strutturali.

Il governo Draghi ha un piano per gestire il lato del gas ed evitare di continuare a sussidiare la guerra di Vladimir Putin con un miliardo di euro al giorno e, al contempo, ridurre le bollette. Un intervento drastico sul gas avrebbe effetti benefici anche su tutto il comprato: il prezzo della benzina è legato al prezzo del petrolio Brent che si muove insieme a quello del gas.

Il piano, come anticipato da Domani, prevede di vietare che dentro l’Unione europea si possa commerciare gas a più di 80 euro per megawatt-ora, invece che gli attuali 120 (prima della guerra il prezzo era tra 20 e 30).

Così le imprese energetiche perderebbero ogni incentivo a comprarlo da Putin a prezzi alti: 80 euro o niente, altrimenti Putin lo deve tenere sottoterra con il rischio di doverlo vendere, a guerra finita, ai prezzi bassi di una volta.

Non sentirete parlare molto di questo piano, perché penalizza le grandi imprese dell’energia che sono tra i pochi inserzionisti pubblicitari rilevanti rimasti ai giornali. Ma è fondamentale che il Consiglio europeo della prossima settimana proceda nella direzione di questo “price cap”, nonostante tutte le opposizioni di lobbying: finora abbiamo combattuto Putin finanziando la sua guerra e pagando noi tutti i costi economici e sociali connessi. E’ ora di cambiare approccio.

Il “price cap” di Draghi è una soluzione a costo zero per le finanze pubbliche e che danneggia la Russia togliendo un po’ di extra profitti ad aziende che si arricchiscono con le energie fossili. Facciamolo.

© Riproduzione riservata