Molti annunci, poca sostanza: Stati Uniti e paesi membri dell’Unione europea sembrano orientati a spaventare Vladimir Putin con annunci di svolte epocali sull’energia alle quali, però, al momento corrisponde poco di concreto.

Il presidente americano Joe Biden ha confermato una fornitura straordinaria e aggiuntiva di 15 miliardi di metri cubi di gas naturale nel 2022 per aiutare l’Unione europea a ridurre la propria dipendenza dalla Russia. Meglio che niente, ma serve a ben poco: nel 2021 l’Ue ha importato 155 miliardi di metri cubi dalla Russia, pari al 45 per cento delle importazioni totali e al 40 per cento dei consumi.

Non sarà quindi la mossa di Biden a impensierire Putin, anzi, è quasi una mossa a uso interno. Subito su Twitter il senatore repubblicano Marco Rubio, eterno aspirante alla Casa bianca, chiede il sostegno di Biden per un suo disegno di legge che vuole accelerare l’iter di esportazione del gas naturale verso i paesi alleati. Gas, va ricordato, disponibile perché estratto dalle rocce con tecniche che da un decennio hanno aumentato l’indipendenza energetica degli Stati Uniti ma hanno scatenato le proteste degli ambientalisti per l’impatto sul territorio.

Per quanto simbolica, la quantità indicata da Biden ha un senso: 15 miliardi di metri cubi è l’entità di importazioni garantita da contratti con la russa Gazprom che sono in scadenza entro la fine del 2022 e sono pari al 12 per cento delle forniture di Gazprom verso l’Ue, secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia. Entro la fine del decennio scadranno altri contratti per 40 miliardi di metri cubi complessivi.

Il segnale quindi è chiaro, lo sganciamento dalla Russia è iniziato. Il problema è che questi annunci sembrano destinati ad avere poco impatto sul conflitto in corso, al massimo indicano al popolo russo e al suo establishment che l’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina ha compromesso la fonte del (relativo) benessere della Russia degli ultimi vent’anni. Per il futuro, sembra di capire, alle imprese russe non resterà che affidarsi alla Cina, ammesso che non decida limitazioni analoghe.

Anche la Germania si produce in annunci a effetto, privi di conseguenze immediate sulla guerra ma che sembrano indicare un rapido cambio di priorità strategiche.

Il ministro per gli Affari economici e il clima della Germania, il verde Robert Habeck, ha annunciato un po’ a sorpresa che la Germania punta a ottenere l’indipendenza energetica dalla Russia entro il 2024 per quanto riguarda il gas, mentre dovrebbe sostituire le forniture di petrolio con altre importazioni già entro il 2022.

La svolta arriva assieme all’annuncio del supporto di Biden e potrebbe far pensare che le due cose siano connesse, ma gli ordini di grandezza sono diversi: la Germania consuma 88.9 miliardi di metri cubi di gas all’anno, quasi tutto importato, sei volte la quantità offerta da Biden (a tutta l’Europa, peraltro).

Le dichiarazioni si Habeck sono sorprendenti perché arrivano pochi giorni dopo quelle di segno opposto del cancelliere Olaf Scholz, che si è opposto all’embargo petrolifero sostenendo che la Germania non se lo potrebbe permettere (le stime di alcuni economisti parlano di un impatto negativo sul Pil tra lo 0,5 e il 3 per cento).

Come si spiega una simile contraddizione? Forse la mossa di Habeck è solo tattica, la promessa di risolvere il problema energetico nel medio periodo offre l’alibi per non fare niente nell’immediato.

I contratti futures sul mercato petrolifero, cioè i contratti che cercano di anticipare i prezzi futuri, indicano che gli investitori si aspettano una fine delle ostilità a breve. Se avessero ragione, la Germania avrebbe protetto le sue forniture nell’immediato in cambio di promesse tutte da dimostrare per il futuro.

E l’Italia? Il governo Draghi è sempre stato, con la Germania, tra i più cauti d’Europa nell’imporre sanzioni sull’energia, le uniche che possono davvero colpire il regime di Putin. L’unica opposizione ferma è a pagare in rubli le forniture, come chiesto da Putin, ma sull’embargo petrolifero non risulta che il governo Draghi abbia mai preso posizione, mentre sul gas cerca, assieme all’Eni, forniture alternative da paesi come Algeria e Qatar. Con scarsi risultati sull’indipendenza energetica e ancora minori sulla transizione ecologica per la quale hanno protestato, inascoltati, i movimenti come Fridays for Futures tornati in piazza per il loro “sciopero per il clima” nell’ormai tradizionale venerdì. 

© Riproduzione riservata