Di fronte allo scenario apocalittico della Striscia finalmente rompono gli indugi anche coloro che, per malinteso rispetto della storia e della abnorme sofferenza subita dagli ebrei, avevano vigilato sulle parole, sul linguaggio. Merz, Macron, Starmer. E l’Italia cosa fa? Continua a tacere
Cosa ci si doveva aspettare se non l’assalto ai forni di una popolazione stremata dalla carestia? La fame è stata prima teorizzata e poi usata come arma di guerra. E appena è partita la distribuzione un bolgia umana si è riversata verso i camion degli aiuti umanitari, calpestandosi, urtandosi, soffocandosi per arrivare prima a un tozzo di pane. Qualcuno ha sparato verso quella folla disperata, non si capisce se soldati d’Israele (che smentisce) o gli agenti della sicurezza privata Usa che accompagnano gli addetti alla distribuzione.
Sono le immagini della vergogna di cui prima o poi qualcuno dovrà rendere conto. La cosiddetta comunità internazionale è arrivata a sopportare la pulizia etnica, gli spostamenti continui dei gazawi da un luogo all’altro per “esigenze militari” manco fossero marionette, gli spari sui civili, donne, vecchi, bambini, sulla croce rossa, sugli ambasciatori, sui testimoni (i giornalisti), sui becchini. Ad accettare le scuse sempre meno credibili: è stato un errore, oppure sì, ne abbiamo uccisi quaranta, ma due di questi erano terroristi. Ad ascoltare supinamente iperboli ridicole se non fossero tragiche sull’“esercito più etico del mondo”, e sarebbe quello dello Stato ebraico, nonostante gli oltre sessantamila cadaveri di cui è cosparsa la Striscia, due terzi dei quali civili.
E tutto questo mentre lo scopo dichiarato di “distruggere Hamas” è sempre più lontano dall’avverarsi. Tanti miliziani muoiono, tanti altri li sostituiscono e giovani si arruolano per disperazione, ogni bomba rafforza le radici dell’odio e il desiderio di vendetta. In questo scenario apocalittico, finalmente, rompono gli indugi anche coloro che, per malinteso rispetto della storia e della abnorme sofferenza subita dagli ebrei, avevano vigilato sulle parole, sul linguaggio. Una prudenza che l’orribile escalation delle ultime settimane ha contribuito a superare. Persino il neocancelliere tedesco Friedrich Merz, storico sostenitore di Israele, seppur seduto sulla poltrona scomoda come più alto rappresentante del paese che ha perpetrato la Shoah, non ha più potuto tacere: «Infliggere queste sofferenze non può più essere giustificato con la lotta al terrorismo di Hamas». E se sono frasi che possono apparire flebili e moderate, non va dimenticato che la misura in questo caso non è il “cosa” ma il “chi” le ha pronunciate.
Emmanuel Macron, la Francia, era stato più esplicito. Keir Starmer, il Regno Unito, pure. Diciassette paesi dell’Unione europea su 27 una settimana fa hanno votato a favore della revisione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele. Contro la Germania, e chissà se dopo le parole di Merz ora non cambierebbe idea, e l’Italia. L’Italia di Giorgia Meloni sempre assente quando c’è da dare una prova di coraggio (ma certo come diceva il Manzoni il coraggio uno non se lo può dare). Il coraggio, nel caso, di distinguersi dalla posizione dell’America di Donald Trump.
Siamo un paese che conta assai poco sullo scacchiere internazionale e dunque siamo completamente ininfluenti. Tuttavia per un rigurgito d’orgoglio, in difesa dei valori che diciamo essere nostri propri, ci sono alcune iniziative che allontanerebbero almeno l’accusa di ignavia. Riconoscere lo Stato palestinese ad esempio, cosa che il ministro degli Esteri Antonio Tajani continua ad escludere perché secondo lui non servirebbe. Lo hanno già fatto la Spagna, l’Irlanda, l’Ungheria, la Polonia, la Romania. La Norvegia, che non fa parte dell’Unione. Ci sta pensando seriamente Parigi. Noi, zitti.
Eppure un’iniziativa compatta servirebbe almeno a fare sentire al governo di Gerusalemme il timore dell’isolamento. Finirla con l’interscambio di armi, una seconda ipotesi. Richiamare l’ambasciatore. Un gesto qualunque, insomma, per sottolineare che l’Italia non ci sta a sopportare lo scempio dei diritti, compresi quelli elementari. Ad opera del governo di uno Stato che si vuole democratico. E per coprire le malefatte del quale stiamo perdendo la faccia. C’è una larga fetta di mondo, maggioritario, l’altro, quello che non è Occidente, che ha già cominciato a chiedersi da tempo come mai usiamo un doppio standard. Uno per gli amici e uno per i nemici.
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