Giornali e tv devono agire come orecchie che colgono ogni sussurro, e restituircelo anche se estraneo e ostile al buon senso più corrente? Oppure è preferibile che metabolizzino quel che percepiscono fino a darne una versione mediana e meditata?

Il dilemma ci è comparso chiaro dopo aver letto, il 16 gennaio su Domani (grazie a Francesca Berardi) di Brian Cash, Michigan, bianco cinquantaduenne e posatore di piastrelle che s’è fatto i selfie nell’assalto al Campidoglio. A 48 anni aveva votato Bernie Sanders, il socialista, perché diceva no al proibizionismo che rende difficile la canna e tiene nel contempo immigrati e neri sotto il tacco.

Allora Trump gli pareva detestabile, ma con lui presidente prese a posare molte più piastrelle e così cominciò ad amarlo in modo sfegatato. Detestando in parallelo i media e le élites ostili al twittatore in capo.

Il nostro Brian è una realtà che esiste e pensa, anche se non pratica la dialettica hegeliana, non cerca la sintesi con l’opposto, ma si fida soltanto di se stesso o di quanto nel web maggiormente gli somiglia. Trumpiano o meno, non è il solo che ci casca e i complotti di cui sente l’odore svolgono per lui la funzione del Demonio rispetto al mondo dei bigotti o dell’Ottuso rispetto a quello dei sapienti.

Brian non ha molto da dire, perché si esprime in pratica ed è assai debole in teoria. Per questo i tanti Brian appartengono, visti da quelli come noi, alla fenomenologia del sotterraneo, che come un geyser ogni tanto sbotta, ma poi inevitabilmente rifluisce sotto terra e si rimette a posare le piastrelle.

A dirla schietta ci pare che la parte del Brian possa toccare a chiunque prima o poi e che non ci sia certezza di proprietà o di destrezza culturale che possa garantire del contrario. Oggi meno di ieri perché non ci sono le “rivoluzioni” a definire, bene o male, i campi in cui schierarsi.

Da quando la società è meno solida e molto più gassosa, non hai il rivoluzionario, ma il rivoluzionante permanente, effimero come singolo individuo, ma continuo ed immanente come fenomeno sociale.

In mezzo a questo turbinio, i giornali, vivendo di mercato, corrono ognuno appresso alle molecole che gli paiono vicine.  E le tv commerciali hanno identico destino.  

Tutt’altro discorso vale per i servizi pubblici radiotelevisivi, che possono, diremmo “devono”, campare ad onta del mercato e contaminarsi con ogni realtà, per quanto complessa e respingente. In Inghilterra, nel 1980 lo capì anche la Thatcher che permise il varo di Channel Four con il mandato di uscire dal mainstream in cui era intrappolato il resto del sistema, pubblico, Bbc, e privato Itv. Missione riuscita alla grandissima, e col bilancio ben presto, molto in ordine.

Così da noi, una Rai sciolta (“vasto programma”, lo sappiamo) dalla lottizzazione, che è caricatura del complesso, avrebbe le mani libere per scavare nella realtà dei Brian, di casa nostra e del mondo intero. Sono loro gli eccentrici del villaggio, i folli voluti dagli dei, i simili dissimili ai quali non si chiedevano ricette (che sarebbe stata follia vera) ma illuminazioni sull’interno di se stessi e sui tanti Mr. Hyde che ognuno porta in corpo e che lo premono.

La “coesione sociale” ha di che guadagnare, se viene alimentata da un costante esercizio di attenzione e non pompando certezze e buon senso dominanti. Perché il ghiaccio riesce a ricoprire il mare del non detto, ma è assai sottile e chi ci s’avventura è temerario.

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