Oggi, 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della salute mentale. Una ricorrenza che, più che un appuntamento formale, dovrebbe rappresentare un momento di presa di coscienza collettiva e di riflessione su un fenomeno che sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti e trasversali, toccando ogni fascia d’età e ambito della società.

La salute mentale si sta imponendo come una delle grandi sfide sanitarie, sociali e culturali del nostro tempo. I dati parlano chiaro: in Italia, negli ultimi anni, i disturbi mentali sono aumentati in modo allarmante, soprattutto tra i giovani. Uno su sette tra i 10 e i 19 anni affronta un problema psicologico diagnosticato, e il suicidio è la quarta causa di morte tra i ragazzi tra i 15 e i 19 anni.

Durante la pandemia abbiamo assistito a un incremento significativo di diagnosi di ansia e depressione, ma oggi, a distanza di anni, siamo ancora senza un piano strutturale, senza investimenti adeguati, con risorse destinate alla salute mentale ferme al 3,4 per cento del Fondo Sanitario Nazionale. È evidente che serve un cambio di passo.

Il ministro Schillaci ha annunciato, con colpevole ritardo, il completamento del Piano nazionale per la salute mentale, con interventi mirati ai giovani, diagnosi precoci e progetti nelle scuole. Tuttavia, il Piano presentato rappresenta un’occasione mancata priva di una visione organica, coraggiosa e strutturale.

Ancora una volta si parla di salute mentale senza affrontare ciò che davvero serve alle persone. Ciò che occorre, infatti, è la presenza capillare e stabile dello psicologo di base nelle cure primarie, accanto ai medici di famiglia, nei luoghi della salute di prossimità come le Case della Comunità.

È grave che, nonostante dieci Regioni abbiano già legiferato in questa direzione e in Parlamento sia stato depositato da mesi un testo unificato condiviso e trasversale, non sia ancora stata approvata una norma nazionale perché il governo non trova – o peggio non vuole trovare – 90 milioni di euro.

Invece di valorizzare queste esperienze virtuose, il doverno ha proposto una figura confusa e poco incisiva: lo «psicologo di primo livello», inserito nei Dipartimenti di salute mentale, una scelta che di fatto clinicizza e snatura il ruolo originario dello psicologo di base. Quella figura non dovrebbe essere un’ulteriore tappa ospedaliera, ma parte integrante dell’assistenza territoriale, con una logica di prevenzione e prossimità. La salute mentale non è solo assenza di malattia, ma equilibrio, benessere, capacità relazionale, possibilità di affrontare le difficoltà della vita. È una condizione essenziale per partecipare pienamente alla vita sociale e cdi comunità. E allora perché chi ha bisogno di aiuto psicologico si sente ancora stigmatizzato o in colpa?

È tempo di smettere di considerare la salute mentale un tema di nicchia o, peggio, un lusso per pochi. Lo psicologo di base è una figura centrale per intercettare precocemente il disagio, accompagnare le persone nei momenti di fragilità, costruire percorsi terapeutici integrati e prevenire l’aggravarsi delle condizioni.

È un cambiamento di paradigma: riconoscere che la salute mentale fa parte della salute complessiva della persona e va trattata con la stessa dignità, accessibilità e investimento della salute fisica. Investire in prevenzione significa risparmiare domani, oltre a migliorare concretamente la qualità della vita di milioni di persone.

Lo psicologo di base rappresenta un presidio fondamentale per rispondere al disagio crescente, in particolare tra giovani, famiglie e persone fragili.

Non possiamo lasciare scoperto un bisogno ormai strutturale della nostra società. In molte Regioni esistono già esperienze pilota efficaci, ma l’assenza di una legge nazionale crea profonde disuguaglianze territoriali.

Lo psicologo di base non può essere un privilegio legato al territorio dove si vive: deve diventare un servizio pubblico garantito a tutti. Naturalmente, questa figura non basta da sola. Il bonus psicologo, reso stabile, è un aiuto concreto, ma copre una percentuale irrisoria di domande a fronte di una richiesta davvero significativa; è del tutto evidente che vadano incrementate le risorse.

Bisogna rafforzare anche il secondo livello di cura, oggi sovraccarico e spesso inadeguato rispetto alla domanda. Occorre investire nella formazione, nella telemedicina, nei percorsi scolastici di educazione emotiva, nel coinvolgimento delle comunità locali attraverso strumenti innovativi come l’arte, il teatro, l’espressione creativa.

Servono ambienti dove parlare di salute mentale sia normale, non motivo di vergogna o stigma. Tutto questo richiede iniziativa politica e una nuova consapevolezza culturale. L’obiettivo non è solo curare chi sta male, ma costruire una società più sana, empatica, capace di prendersi cura di sé e degli altri.

In questa Giornata mondiale della salute mentale, il messaggio che voglio rilanciare è semplice: prendersi cura della salute mentale è un diritto, non un lusso. Basta agire solo sull’emergenza. È tempo di prevenire, ascoltare, accogliere. È tempo di fare della salute mentale una vera priorità, per tutte e per tutti.
 


* deputata Pd commissione affari sociali

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