Molti anni fa, durante una lezione di diritto commerciale all’università di Parma, il professor Pier Giusto Jaeger disse: «Ricordatevi che una società commerciale non appartiene solo agli azionisti. E’ un fatto sociale la cui patologia colpisce molte persone e istituzioni. Gli azionisti vengono per ultimi», un principio etico dell’imprenditoria che si è perso nel tempo. Come dimostrano i casi di Gkn e non solo. 

Dopo la sua trasformazione in società per azioni in base alla legge 33/2015, la Bper ha subito la scalata di Unipol, gruppo assicurativo con sede a Bologna. Con l’ultima assemblea di maggio la governance dell’istituto bancario non è più a Modena, ma a Bologna in Unipol che è  il secondo gruppo assicurativo nel mercato italiano. Come in ogni società finanziaria, gli azionisti di Unipol pretenderanno un ritorno soddisfacente del capitale investito per l’acquisto delle azioni Bper.

Il pericolo è proprio che, per difendere gli interessi degli azionisti, si abbandoni l’obiettivo di servire il tessuto economico dei luoghi dove la banca è presente.

E’ negli Stati Uniti che è nato questo cambio di paradigma che ha portato a remunerare i manager delle imprese sulla base dell’aumento del valore delle azioni in Borsa, e proprio con bonus costituiti da azioni dell’impresa stessa. 

Anche in Italia abbiamo avuto diversi esempi come il fallimento della Parmalat o i cambi di proprietà seguiti alla privatizzazione della Telecom, di Aeroporti di Roma o dell’Alitalia.

Ultimamente gli interessi degli azionisti hanno portato alla chiusura di Whirlpool e infine alla Gkn di Campi Bisenzio che ha licenziato 422 dipendenti con una mail.

Nel 1994 la multinazionale inglese Gkn, oggi proprietà di un fondo inglese, Melrose, acquisisce lo stabilimento Fiat di Novoli. Nel 1996 avviene il trasferimento a Campi Bisenzio dove si producono semiassi e giunti per Fca.

E’ ovvio che per i dirigenti del fondo inglese, che a malapena sanno dov’è l’Italia, i problemi dei lavoratori di Campi Bisenzio siano lontani anni luce e decidere il loro licenziamento equivale alla cessione di un macchinario. Se gli azionisti e dirigenti di Gkn Italia fossero toscani forse si porrebbero il problema di licenziare 422 dipendenti creando problemi a 422 famiglie.

Possibili provvedimenti

Non vi è dubbio che sia necessario tornare a un’etica gestionale che tenga presente  che una società è un fatto sociale che deve essere difeso fino al limite dell’economicamente sostenibile.

Innanzitutto si dovrebbe imporre un patrimonio netto correlato al fatturato previsto. Troppo spesso le società sono sottocapitalizzate, soprattutto in Italia,  e al primo problema di mercato cadono in stato di insolvenza. Bisogna impedire la costituzione di società con capitale minimo, usate per un singolo affare di valore elevato, poi liquidate con perdite a carico di terzi.

L’obiettivo principale di una società non è solo quello di produrre utili, ma anche quello di durare a lungo periodo. Vi è poi il problema della sede della società controllante. Quando questa è all’estero, specialmente in un paradiso fiscale, si dovrebbero chiedere particolari garanzie a protezione dei lavoratori. 

La normativa europea

Nell’ambito dell’Unione europea il problema è stato affrontato ed è stato regolamentato nel contesto dei Trattati. Per i lavoratori italiani assunti localmente da una filiale italiana di una società con sede in un altro paese della comunità, alcuni principi che regolano questo rapporto si trovano nella Legge 31 maggio 1995 sulla giurisdizione, ma soprattutto nella legislazione comunitaria garantista, così come interpretata dalla Corte di Giustizia.

Ci si riferisce alle tutele minime riconosciute dalle direttive comunitarie ai lavoratori distaccati.

Tuttavia, il quadro normativo in materia di licenziamenti è assai mutevole nel tempo e non offre una protezione certa. Ancora più difficili sono i casi che coinvolgono holding con sede in paesi extra Ue.

Le singole situazioni, come quelle della Whirlpool e della Gkn, alla fine sono passate alle autorità di governo che cercano una soluzione possibile con la holding estera proprietaria dello stabilimento italiano.

Bisogna ricominciare dall’università e dalle scuole di management per trasmettere un sapere imprenditoriale che coniughi lo sviluppo con l’etica imprenditoriale.

© Riproduzione riservata