È abbastanza evidente che l’ingiustificabile attacco di Putin all’Ucraina è un primo tentativo di verificare la capacità dell’occidente di fermarlo, una prova di forza che il leader russo valuterà attentamente, e dalla quale dipenderà la realizzazione del suo disegno geopolitico.

Un assist gli è sicuramente arrivato dal ritiro americano dall’Afghanistan, che ha dato forza al suo disegno. Sarà molto difficile porre un freno a tutto questo. Impensabile è farlo con il ricorso alle armi da parte dell’occidente, come alcuni incautamente sostengono chiedendo di schierarsi a fianco del popolo ucraino che resiste.

Una tale scelta avrebbe come esito lo scoppio della terza guerra mondiale. Difficilissimo sarà fermare lo “zar” del Cremlino tramite sanzioni che, seppure durissime, da una parte saranno aggirabili, almeno in una prima fase in cui sarà possibile beneficiare delle scelte autarchiche di Mosca, dall’altra potranno creare ritorsioni, ad esempio sul piano dei pericolosissimi attacchi cyber.

Con tutto questo dobbiamo essere pronti a fare i conti: nessuna scelta è indolore, e in ogni caso la sofferenza sarà più europea che statunitense.

Il disegno egemonico

L’Ucraina è evidentemente solo un altro tassello nel disegno egemonico di Putin. La volontà ultima è quella di costruire una sfera di influenza intorno alla Grande Russia, le cui linee sono state tratteggiate nel discorso di Putin alla nazione.

Una sorta di "nazionalismo imperialista” che è più che un’ipotesi, se si guarda alla politica estera della Russia degli ultimi anni e ai rapporti con la Cina, un alleato strategico potente sulla scena internazionale.

A questa zona di influenza potrebbero sentirsi vicini in futuro i paesi del gruppo di Visegrad, che finora non hanno manifestato alcuna adesione alla scelta militare della Russia, ma che condividono con Putin, nonostante la loro appartenenza all’Unione europea, una certa visione della democrazia.

Ed è proprio su questo crinale che oggi, dentro la globalizzazione, si gioca una nuova contrapposizione, non più tra comunismo e liberal-democrazie come nel corso della Guerra fredda, ma tra democrazia liberale e democrazie illiberali e autoritarie.

Quest’ultimo modello è più diffuso di quanto si possa pensare, e trova purtroppo ampio consenso politico, facendo leva sulla palese difficoltà delle democrazie occidentali a reperire risposte adeguate alle diseguaglianze derivanti dalle recenti crisi economiche.

Il consenso intorno al populismo, anche all’interno di paesi europei caratterizzati da una solida storia democratica, ne è un esempio. Oggi, il modello della democrazia liberale gode di un consenso moderato, e siamo ben lontani dall’euforia del post 1989, in cui si confidava sulla sua progressiva universalizzazione.

“Democrazia guidata”

Il concetto di “democrazia sovrana”, o “democrazia guidata”, formulato dall’ideologo Vladislav Surkov, ampiamente condito in salsa schmittiana, è stato fatto proprio da Putin sine glossa.

Fa parte di questa visione politica una interpretazione assoluta della sovranità, e un conseguente disprezzo per tutte le forme di integrazione politica, di regolazione giuridica e rule of law, che con molti limiti hanno provato a contenere l’ambito anarchico della dimensione internazionale.

Sul versante interno, gli altri elementi che caratterizzano questa proposta sono la scarsa, quasi nulla, attenzione alla dimensione individuale, inclusa quella dei diritti, ai quali si preferisce, teorizzandone la superiorità, una visione comunitaria della vita sociale e politica.

Ma di una comunità ascritta, all’interno della quale i valori collettivi sono sovraordinati alle singole teste, con scarse possibilità di mettere in discussione ciò che la tradizione ha già ben definito.

Su questo punto, tra Russia e Cina confuciana c’è più di un punto di contatto. Il mancato riconoscimento dei diritti civili, in primo luogo quelli legati alla sfera privata dell’orientamento sessuale, è all’ordine del giorno, in Russia e in altri paesi, tra cui l’Ungheria di Orbán.

Per non parlare dei diritti politici, della libertà di opinione e di stampa, del pluralismo elettorale; tutto ciò è rigorosamente compresso in questa visione dell’ordine interno, alternativo alla democrazia pluralista, resa più forte dal godimento dei diritti individuali che si associano alla trasparenza delle procedure e al bilanciamento tra i poteri tramite pesi e contrappesi.

Nella visione della democrazia sovrana, o guidata, le elezioni non sono il momento in cui si esprime la volontà dei cittadini e delle cittadine, ma il contesto in cui si rinsalda l’identità tra popolo e governo. L’effetto spillover di tutto ciò sul versante esterno è il sovranismo più diretto, l’uso della forza senza i limiti posti dalla Carta delle Nazioni unite, una visione delle relazioni internazionali come un gioco a somma zero, dove ha spazio solo l’interesse nazionale, che non contempla alcuna interdipendenza o ricerca di un governo comune delle cose, tanto meno il multilateralismo.

Se questa è la posta in gioco, pur nella valutazione dei molti errori fatti dall’occidente, non ci si può dichiarare equidistanti, perché il pericolo è davvero troppo grande. Come riteneva Kant, pace e democrazia devono andare insieme.           

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