La difesa comune europea avrebbe dovuto essere messa a tema e implementata vari decenni orsono, forse addirittura quando fu posta da De Gasperi nell’immediato dopo guerra. Ciò non dovrebbe inibire una discussione su tempi e modi dell’accelerazione impressa dal piano di riarmo annunciato da von der Leyen
Non vorrei essere frainteso: la svolta impressa da Trump non va sottostimata; la questione della difesa comune europea non può essere esorcizzata; né la si può liquidare con l’argomento facile e demagogico – il riferimento a Conte è intenzionale – che la difesa non sia un bene pubblico e che sarebbe bello spendere i denari pubblici per beni e servizi alle persone. Troppo ovvio.
Così pure non è un argomento quello nominalistico di chi contesta il titolo “riarmo”. Questo è e va chiamato con il suo nome, senza ipocrisia. La difesa comune europea avrebbe dovuto essere messa a tema e implementata vari decenni orsono, forse addirittura quando fu posta da De Gasperi nell’immediato dopo guerra.
Ciò non dovrebbe inibire una discussione su tempi e modi dell’accelerazione impressa dal piano di riarmo annunciato dalla presidente della Commissione Ue. Spero sia lecito ragionarne, non fosse altro per segnalare qualche profilo problematico. Proprio la dichiarata portata della svolta – a monte e a valle, Trump e le conseguenti decisioni Ue – suggeriscono di evitare due errori: estemporaneità/precipitazione e approccio dogmatico, che scomunica chi semplicemente chiede di approfondire con lucidità e pacatezza i molteplici risvolti problematici di una prospettiva tanto complessa e innovativa. Non bastano gli spot e gli slogan. Solo per titoli.
Da Yalta al sostegno di Washington
Il primo: un po’ frettolosamente si è evocata Yalta. Quello sì, noi posteri, con cognizione di causa, possiamo leggerlo come uno sicuro spartiacque. Con Trump, tanto sciaguratamente imprevedibile e contraddittorio, possiamo, con certezza, parlare di uno spartiacque (una “nuova era”) paragonabile a Yalta? Ripensamenti soggettivi, ostacoli oggettivi, anticorpi interni alla democrazia Usa – sino a ieri dipinta come la più grande e antica democrazia del mondo – nonché la reazione del mondo libero e democratico potrebbero riservarci positive sorprese.
Possiamo escluderlo? Dunque, calma e gesso, prima di operare sterzate tanto improvvise e radicali. Secondo: la obiezione relativa al difetto di unità politica e di governance della Ue. Una messa tanto ingente di risorse per la difesa comune presupporrebbe uno scatto da gran tempo disatteso nel meccanismo decisionale, a cominciare dal voto a maggioranza. Lo possiamo dare per sicuro e imminente?
Terzo: la rassicurazione circa la stretta integrazione e non la mera sommatoria dei sistemi di difesa nazionale cui destinare cifre tanto cospicue. Con ciò che tale processo presuppone sul piano industriale e commerciale. A cominciare dalla tempistica, qualcuno profetizza decenni. Se così è, ha ragione chi osserva che bisogna pur cominciare, ma altrettanto ha ragione chi consiglia di meglio rifletterci.
Non sarà qualche giorno in più, dopo decenni di inerzia e in vista di un traguardo tanto ambizioso e lontano, a fare la differenza. Semmai, urgente è assicurare il sostegno a Kiev, senza per questo disdegnare le vie utili e giuste per porre fine al conflitto, non alla maniera di Trump.
Quarto: come accennato, non ce la si può cavare con la tesi di non sacrificare il welfare europeo, ma neppure si può liquidare l’esigenza di un equilibrio tra destinazioni di spesa, immemori delle due essenziali ragioni fondative e vocazionali della Ue: il suo modello sociale e la pace.
Per inciso: taluni stigmatizzano una certa, peculiare remora italiana in tema di armi e di guerra. Segnalo che noi abbiamo in Costituzione l’art. 11. Non una grida manzoniana. E che, non un dettaglio, abbiamo qualche problema di dimensione del debito pubblico.
Quinto: a rimarcare la complessità della questione, quando non ci si limita a enunciati-manifesto di cifre che effettivamente fanno impressione (francamente, allo stato, siamo lì), stanno le voci di chi è più competente in materia. Essi ci ammoniscono: l’Europa non potrà mai del tutto prescindere dagli Usa in termini di difesa e dare per morta la Nato è cosa imprudente. Oggi taluni di coloro che sino a ieri teorizzavano un atlantismo dogmatico sembrano inclini a pensarlo. Quantomeno si dovrebbe comprendere meglio come coniugare Nato e difesa europea.
Dubbi da sciogliere
Sulla base di queste avvertenze non mi sembrano peregrine le due riserve di Elly Schlein: il no all’incremento esponenziale delle spese per i singoli e distinti sistemi di difesa nazionale; nonché la preoccupazione, per altro condivisa dal governo, di non dirottare sulla difesa le risorse destinate alla coesione.
Del resto, si ignora che nella direzione Pd, al riguardo, non vi sono stati voti contrari alla linea prospettata dalla segretaria. Sembrava che, quasi tutti, dentro il Pd, sulle prime, si riconoscessero nella richiesta di puntuali correttivi. Prima che, un po’ strumentalmente, prendesse corpo una campagna di opinione mirata a raccontare tali rilievi come una chiusura tout court alla difesa comune europea. Con, a seguire, contraccolpi interni al partito, secondo un copione non proprio virtuoso che ben conosciamo.
Del resto, un osservatore acuto come Massimo Cacciari ha messo in fila interrogativi non dissimili: «Rimane misterioso come un simile piano possa reggersi senza un vero governo di una vera federazione degli Stati d‘Europa. Buttare il cuore oltre l’ostacolo può riuscire a patto che almeno alcune delle condizioni elementari … siano rispettate». Difficile, osserva, se ognuno continuerà a sviluppare la propria difesa. «È solo questione di percentuali di spesa o di organizzazione e di strategia?» Per poi concludere: «Evitiamo almeno il rischio di bruciare risorse in ordine sparso a esclusivo vantaggio di chi le armi le produce o le vende».
Onde evitare il paradossale epilogo di un riarmo che ingrassi a dismisura i colossi industriali Usa, allo stato – ci si spiega - i soli capaci di fornire all’Europa gran parte di ciò di cui essa ha bisogno per la propria difesa deprivata della sponda americana.
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