La guerra ibrida si combatte anche nelle nostre menti

E se fosse la mente il nuovo teatro delle guerre che saremo chiamati ad affrontare? La necessità di ridefinire i paradigmi della sicurezza nazionale sembra aver trovato una nuova conferma nella riunione del Consiglio supremo di difesa, presieduta dal capo dello stato Sergio Mattarella al Quirinale lo scorso 17 novembre 2025. In quella sede, alla presenza dei vertici dell’esecutivo e delle forze armate, c’è stato un ulteriore riconoscimento della dimensione cognitiva come nuovo teatro di conflitto ibrido. Il Consiglio non si è limitato a esaminare i teatri di crisi convenzionali, rispetto ai quali ogni giorno siamo sottoposti ad un continuo stillicidio. Particolare enfasi è stata posta sulle «minacce ibride», con specifico riferimento alle operazioni di manipolazione delle percezioni e alla guerra cognitiva rivolte contro l’Italia e l’Unione europea. Gli italiani “analfabeti” digitali, se continuiamo così ci vorranno 456 anni per raggiungere gli obiettivi europei La minaccia alla sicurezza non riguarda quindi più solo l’integrità delle infrastrutture fisiche o digitali, ma può impattare anche sulla sicurezza cognitiva del paese. Come appare evidente anche dal comunicato del Quirinale successivo all’incontro del 17 novembre, l’obiettivo di eventuali attori ostili (statali e no) non è solo e necessariamente l’avanzamento territoriale, ma arriva a coinvolgere la capacità di manipolare e influenzare le coscienze e il modo in cui la realtà viene percepita. In un contesto sociale in cui la vita digitale è ormai integralmente parte della vita reale, il cambio paradigmatico rispetto alla dimensione della sicurezza appare notevole. Lo spazio cognitivo diviene allora oggetto di attenzione anche per la sicurezza nazionale e un asset strategico da tutelare recuperando la dimensione del foro interno dell’individuo. È bene tenere presente che la minaccia odierna trascende la semplice disinformazione per approdare ad un livello di ingegneria sociale su scala industriale. L’obiettivo degli attori ostili non è necessariamente persuadere l’elettore di una falsità, ma saturare il suo ambiente cognitivo. Come numerose ricerche hanno dimostrato, le piattaforme digitali, ottimizzate per l’engagement emotivo, possono fungere da acceleratori per queste operazioni. L’attuale capacità tecnologica di inferire stati mentali ed emozioni dai dati personali può permettere di “hackerare” la coscienza, influenzando le decisioni prima ancora che esse vengano formulate consapevolmente. Se i pensieri diventano leggibili o manipolabili attraverso l’analisi dei big data e mediante l’uso delle tecnologie dell’intelligenza artificiale, la distinzione tra sfera pubblica e privata collassa rendendo la mente un campo di battaglia. Thiel, Trump e gli appalti governativi. Perché Palantir è una grande bolla Un esempio concreto del nuovo contesto è stato offerto dalla decisione del 6 dicembre 2024 della Corte costituzionale della Romania che ha assunto la storica decisione di annullare l’intero processo delle elezioni presidenziali, invalidando il primo turno elettorale che aveva visto l’ascesa del candidato ultranazionalista Călin Georgescu. Si tratta di un caso molto discusso che continua a dividere la politica e i commentatori. La decisione della Corte costituzionale rumena risulta tuttavia fondamentale per la riflessione relativa alla sicurezza cognitiva in quanto le indagini dei servizi di sicurezza hanno rivelato l’esistenza di un’operazione di guerra ibrida (con indicazioni di ingerenze russe) che ha utilizzato i social media come strumento di attacco. In termini giuridici, la Corte ha implicitamente riconosciuto che la manipolazione algoritmica occulta costituisce una violazione della libertà di pensiero e di coscienza. Se la volontà dell’elettore è il prodotto di una manipolazione subliminale che aggredisce il foro interno, il voto cessa di essere espressione di sovranità popolare per divenire il risultato di un’operazione militare avversaria. Questo scenario richiama l’allarme sulla necessità di proteggere la “privacy mentale” e l’autodeterminazione dell'individuo da interventi eteronomi sul processo cognitivo e rappresenta una sfida nuova per gli ordinamenti giuridici. Il dibattito sulla sicurezza cognitiva segnala allora quanto la tutela della democrazia richieda una protezione attiva contro chi tenta di violare l’integrità dei processi mentali. I confini giuridici di questi nuovi scenari sono tutt’altro che tracciati, ma appare sempre più evidente quanto la tutela della sovranità e della sicurezza nazionale dipenda sempre di più tanto dalla sicurezza dei confini fisici quanto anche dall’inviolabilità della coscienza dei suoi cittadini.