Un vecchio adagio dice che «le crisi non fanno il carattere; lo rivelano». Oggi sicuramente questo detto si adatta all’estrema sinistra e all’estrema destra. La crisi ucraina ha svelato che entrambi sono reazionari: motivati ​​da un’«opposizione di riflesso» verso ciò contro cui si oppongono, invece che da «principi primi o dalla ragione» e un grande inflazione «della minaccia di ciò a cui si oppongono, guidando risposte sproporzionate rispetto alla misura dei mali che criticano».

Nell’estrema sinistra questo ha preso la forma di un antiamericanismo di riflesso. Secondo questa visione, la crisi ucraina sarebbe colpa degli Stati Uniti, che hanno minacciato la Russia con «la spinta espansionistica della Nato».

Se si lasciano da parte il fatto che Putin abbia calpestato innumerevoli accordi internazionali sulla sovranità ucraina e la questione di quanto l’ipotetica appartenenza alla Nato gli importasse, si tratta di un argomento bizzarro per la sinistra.

Si fonda su presupposti che in genere la sinistra rifiuta animatamente: vale a dire che ai paesi grandi e potenti, come la Russia, spettano “sfere di influenza”, mentre i paesi più piccoli e meno potenti, come l’Ucraina, non hanno il diritto di scegliere le proprie alleanze politiche e il proprio destino. L’antiamericanismo della sinistra ha portato ad abbracciare un «antimperialismo degli idioti», che equipara l’imperialismo solo alle azioni degli Stati Uniti ignorando o scusando azioni simili perpetrate dagli oppositori dell’America.

All’estrema destra, l’ammirazione per Putin e il consenso per l’invasione dell’Ucraina riflettono la politica del risentimento al centro del repubblicanesimo trumpista. Trump ha sempre elogiato Putin e nelle ultime settimane è cresciuto il numero di politici e commentatori di destra che sono saltati sul carro del leader russo.

Stephen K. Bannon, ad esempio, ha elogiato Putin per essere “anti-woke”, mentre Tucker Carlson ha esortato i suoi telespettatori a “pensare” al perché i democratici «vogliono che si odi Putin», ricordando loro che il vero nemico sono coloro «che vogliono insegnare ai nostri figli ad abbracciare la discriminazione razziale».

Le ossessioni sulla culture war dell’estrema destra e l’odio isterico per i democratici hanno portato ad abbracciare una politica secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, una politica antitetica alle tradizionali preoccupazioni repubblicane di difesa degli interessi nazionali americani.

Sheri Berman è professoressa di Scienze politiche presso il Barnard College, Columbia University, e collaboratore di Persuasion. Questo articolo è stato pubblicato sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava

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