Nel nostro tempo accelerato le notizie passano in fretta. Forse, però, qualcuno si ricorderà della preoccupazione per i migranti africani in Ucraina allo scoppio della guerra, quando rischiavano di trovarsi incastrati in un paese sotto bombardamento.

In pochi, direi solo testate specializzate, hanno denunciato le condizioni dei cittadini rom e sinti, respinti alle frontiere dei paesi limitrofi, oppure destinati a luoghi «separati» e precari rispetto ai migranti ucraini. Viene da pensare che l’immane sforzo di accoglienza fatto da Moldova, Polonia e altri paesi fosse più in funzione anti-russa che per genuino spirito umanitario.

Come nessuno, se non i pochi ricordati sopra, ha denunciato la caccia al rom sviluppatasi in alcuni villaggi ucraini nelle prime fasi della guerra. Se nemmeno uno scenario così sensibile come quello ucraino, che ha, giustamente, gli occhi del mondo puntati addosso ha suscitato sentimenti di solidarietà, non stupisce che nel nostro calendario, così ricco delle più svariate commemorazioni, non abbia trovato spazio la data del 16 dicembre, giorno del famigerato «Decreto Himmler».

L’inizio del massacro

Era il 1942 e può essere considerato il momento inaugurale del Samudaripen, il massacro nazista di rom e sinti. Considerato «razza degenerata» rispetto alle proprie origini ariane (le indagini storiografiche indicavano l’India come luogo d’origine) e marchiato con lo stigma di «asociale», assai noto a chi conosce la grammatica nazionalsocialista, il popolo gitano ha sempre attirato l’attenzione dei membri del Reich.

Il primo a distinguersi nel campo delle ricerche genetico-razziali fu lo psichiatra e neurologo Robert Ritter, che diagnosticò un «istinto al nomadismo», accusa ferale nell’ambito del Terzo Reich. Ritter, per «questi ibridi zigani, asociali e fannulloni», chiedeva campi di concentramento, lavori forzati e sterilizzazione per evitare un «ulteriore aumento di queste popolazioni». Nelle leggi di Norimberga i popoli romanì non hanno una collocazione specifica, ma vengono compresi fra quelli di «sangue misto» e «degenerato».

Nello stesso anno, la «lotta alla piaga zingara» viene affidata direttamente alla polizia ed iniziano le deportazioni. Come ben ha scritto Giovanna Boursier, nel 1938 Heinrich Himmler decide di assumere la «questione zingara» in prima persona. Dapprima annettendo la Centrale del Reich per la lotta alla piaga zingara alla Centrale della polizia criminale del Reich, poi, l’8 dicembre dello stesso anno, con l’emanazione del primo decreto esplicitamente anti-gitano, noto col nome di «Lotta alla piaga zingara».

Il censimento e la deportazione

Da lì in poi è un crescendo fino alla deportazione di massa. 1939: ordine di censimento della popolazione rom, con indicazione del colore della pelle e grado di miscuglio razziale dell’individuo. La stessa pratica seguita per la popolazione ebraica.

Sintomatica una lettera di Himmler del 16 ottobre 1939: «Mi pare che il metodo più semplice sia quello di agganciare a ciascuna tradotta [di ebrei] qualche vagone di zingari». Nel 1940 l’organizzazione della deportazione passa nelle mani di Adolf Eichmann. Poco dopo, Himmler emana un nuovo decreto; a maggio partono i primi treni.

L’esito è noto, ma, purtroppo, non abbastanza: 500.000 fra rom e sinti verranno massacrati nei lager nazisti. Ma, è bene dirlo, la cifra è assai sottostimata. Alcuni studiosi calcolano che in diversi paesi dell’est Europa sotto occupazione nazista le popolazioni romanì siano state falcidiate del 90 per cento. Tra questi, l’élite intellettuale e la classe dirigente.

Era prevista una soluzione finale in stile ebraico? Gli studiosi non sono unanimi. Sicura è la comune accusa di «nomadismo», la più grave secondo la logica «sangue e suolo» nazista. E nel dopoguerra? Molto male. Il riconoscimento dell’origine razziale della persecuzione nazista da parte della Germania arriva solo nel 1980.

Anche dall’Italia partirono le deportazioni. Visto che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha, ancora recentemente, sottolineato l’infamia delle leggi razziali, sarebbe opportuno un gesto rivolto alla comunità rom. Qualcuno potrebbe malignamente pensare che si citano gli ebrei perché oggi non ci si può esimere dal farlo.

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