Victor Klemperer in un’opera ineguagliata (La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina 1998) descrisse il processo di mutazione delle parole e del loro significato messo in atto dal nazismo. Gli artefici del “male assoluto” non si erano ingegnati a creare vocaboli nuovi, avevano rubato l’anima a termini esistenti.

Che poi è scontato che espressioni identiche possano dare forma a concetti diversi. In filosofia una speculazione non equivale a far denaro in borsa. Posta in questo modo l’editoriale del direttore Stefano Feltri sulle regole a base del possibile ingresso in politica di potenti influencer impone una riflessione sul linguaggio.

D’altra parte quante copertine di inserti satirici degli anni settanta e ottanta, trent’anni dopo si sono trasferite direttamente nella cronaca condizionando l’agenda politica?

Ricordo alcuni formidabili finti-editoriali di Michele Serra su Cuore, l’inserto de L’Unità. Prendeva in giro ministri, intellettuali, aspiranti leader. Una volta se la pigliò coll’incolpevole Alessandro Natta e l’episodio scosse non poco l’ortodossia di un partito disabituato a far da bersaglio in quel genere di cose.

Da lì si è passati alla stagione dei talk di prima serata, quando su reti pubbliche e commerciali hanno fatto la loro comparsa comici svezzati a burlare il potente di turno, ben disposto a ridere, o fingere di farlo, in cambio di un’ospitata.

Per la verità, un’eccezione c’era stata, il Bagaglino della ditta Pingitore-Pippo Franco, ma non erano vere prese per i fondelli, somigliavano piuttosto all’innocua satira di regime che imita il potere al fine di compiacerlo.

Il ciclone Beppe Grillo, dal palco di Sanremo alle piazze del vaffa, ha segnato il balzo di qualità. Un comico visionario ha riversato una carriera di successo nel crescendo di una scalata allo Stato. Per cui si ha da stupirsi, ma entro certi limiti a scoprire che l’Impresa Fedez&C. potrebbe a sua volta sbarcare sulla scena pubblica.

Magari si tratta soltanto di un’abile mossa promozionale in vista del disco in uscita. Sia come sia, nulla vieta di credere che da qui a un po’ di tempo l’impatto di social e follower corredati da numeri milionari concretizzi l’ambizione di qualcuno a trasferire quel po’ po’ di relazioni in una arrampicata al consenso.

A quel punto credo si porrebbero due ordini di problemi. Uno  riguarderebbe le regole necessarie a impedire l’insorgere di conflitti di interesse. Sponsor, contratti pubblicitari, il traino, esplicito o meno, di brand multinazionali: saremmo alle prese con un arcipelago sconosciuto di procedure e dinamiche sorte dentro e a lato della rete, ma soprattutto estranee a filtri e categorie in dotazione al legislatore.

L’altro problema starebbe proprio nella neo-lingua di quella neo-politica. «Ho un ballottaggio in uscita» potrà sembrare un paradosso, ma non lo è poi tanto se immaginiamo che negli ultimi giorni editoriali e commenti si sono interrogati sulle effettive intenzioni e strategie di marketing politico di un rapper milionario.

E allora guai (lo dico per primo a me stesso) cadere nel tragico riflesso della nostalgia sui “bei tempi andati”, che poi in tutto e per tutto tanto belli non dovevano essere, però mi sia concesso dire che tra Ugo Zatterin e Mal dei Primitives, almeno la distinzione dei ruoli risultava chiara.

Una volta Claudio Villa si lamentò perché, entrato in un ristorante dove Enrico Berlinguer stava cenando a fine di un comizio, non venne invitato a sedersi di fianco al leader comunista. Ecco, si lamentò per quello. Non per non avere ottenuto il posto di segretario del Pci per indubitabili meriti canori. Comunque la si pensi, fa differenza.

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