Gentile Direttore,

prendo spunto dall’articolo di Marco Damilano sul suo giornale del 22 aprile scorso per offrire un contributo sulla presenza e il protagonismo di persone di ispirazione cristiana dentro il Pd. Con una premessa che credo sia utile e valida sempre: i cristiani, anche in politica, vivono la condizione del “già e non ancora”.

Nel tempo che è dato di vivere, integralmente dentro la società, si impegnano e agiscono per una piena promozione umana, sempre con una tensione che vada oltre i parziali obiettivi raggiunti, ma sapendo che è qui ed ora che si può prefigurare un vero progresso umano. Per questo, a una integrità dei principi si è sempre accompagnato un metodo, fatto di mediazioni possibili per avanzare e crescere verso soluzioni sempre più alte. La laicità del politico cristiano è questa.

Per rimanere in scia della riflessione di Damilano, un esempio è proprio il documento dei parlamentari cattolico democratici sui Dico da cui giustamente egli parte.

Fu un’affermazione di autonomia e uno dei passaggi chiave per la nascita del Pd, dimostrando che era possibile fare un partito insieme perché si accettava di costruire insieme mediazioni su temi difficili, oltre la frattura laici-cattolici.

Ovviamente quel testo comportava da parte di tutti di accettare la sfida della laicità e non una sorta di annullamento di un’esperienza. Anzi, la sfida era superare le appartenenze separate dei riformisti per creare sintesi nuove.

Damilano parte da qui per dire che analogo coraggio non si manifesterebbe oggi di fronte al presunto radicalismo di Elly Schlein da cui “i cattolici” non si sentirebbero rappresentati. Eviterei generalizzazioni ma contemporaneamente, proprio per le ragioni da cui è nato il Pd, non credo sia utile assimilare il responsabile dibattito in corso a mancanza di coraggio. Semmai il contrario. Damilano, a sostegno delle sue analisi, cita un documenti di alcuni giovani cattolici e un veloce richiamo a Dossetti e alla “democrazia sostanziale”. Parto da questo ultimo accenno per svolgere una riflessione che, partendo dal passato, si innesta nel nostro presente.

Scelte radicali

È la cultura cattolico democratica ad aver assunto fin dall’inizio la centralità della politica estera, della posizione dell’Italia nel mondo, da cui tutto dipende anche a livello nazionale. Nella sua sintesi tra lealtà alle istituzioni del cattolicesimo liberale e la sensibilità tipica del cattolicesimo sociale, ha segnato la storia del nostro paese per essersi schierato nella sua parte maggioritaria, sotto la guida di De Gasperi, per la scelta europea ed atlantica.

Scelte che oserei definire radicali, non tiepide o frutto di moderatismo, alle quali una parte minoritaria guidata da Dossetti si oppose. Credo che tutti non possano che riconoscere che De Gasperi avesse ragione, proprio a partire dal richiamo a una “democrazia sostanziale” che fonda le proprie scelte sui valori di libertà e giustizia. Tema decisivo nella fase attuale, dopo l’aggressione russa all’Ucraina e che chi si richiama a questa tradizione non può non considerare, proprio in ragione della sua cultura politica. E non solo per il pezzo di storia del cattolicesimo democratico italiano, ma per quello europeo di cui esso è parte, come dimostra, rieditato da Stefano Ceccanti, il libro di Emmanuel Mounier I cristiani e la pace, uno dei testi chiave di questa tradizione. Una tradizione che ancora oggi deve rifuggire dal rischio di riproporre a sinistra, capovolto, lo schema dei principi non negoziabili contro cui era stato elaborato il documento dei parlamentari sui Dico.

Il cattolicesimo democratico non è alternativo a quello conservatore perché afferma principi non negoziabili di sinistra contro quelli di destra, ma perché produce mediazioni innovative. Come peraltro si fece con la legge sulle unioni civili che fu anche il frutto finale di quel Manifesto. Altro che moderatismo.

Non si aiuta il Pd a crescere con retoriche di principi non negoziabili, da qualunque parte provengano e chiunque sia il segretario, ma soprattutto non possiamo farlo noi. Aldo Moro, di cui ricorderemo il 9 maggio il 45esimo anniversario della morte, invitava a far sorgere un nuovo senso del dovere per accompagnare la stagione dei diritti, ma non aderiva né al cattolicesimo conservatore che a quella stagione si era opposto frontalmente, anche promuovendo un infausto referendum sul divorzio, né diventava un sostenitore di Marco Pannella.

Praticava mediazioni innovative, non la retorica dei principi. E se i cattolici democratici, anche oggi, dentro il Pd, perché è il Pd la loro casa, esprimono la loro tensione verso soluzioni condivise più alte, è questa sì la dimostrazione di voler contribuire, con il coraggio delle proprie idee, a renderlo più largo e coinvolgente. Chiamandolo a valorizzare, se il Pd vuole fare il Pd, le pluralità che lo hanno fondato e che lo animano per raggiungere, sui temi più difficili, sintesi più avanzate.

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